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Rapporto Cave 2021, quanto preleva l’Italia ogni anno?

Cala il numero di cave autorizzate a livello nazionale, mentre crescono quelle dismesse o abbandonate. Un trend iniziato con la crisi del settore edilizio ma che gira ancora su prelievi molti alti. Un problema per la sosteibilità a cui è possibile porre rimedio a cui si aggiungono canoni irrisori e normativa inadeguata

Rapporto Cave 2021
Foto di dexmac da Pixabay

Legambiente fa il punto delle cave in Italia

(Rinnovabili.it) – “Non possiamo accettare che si continui a devastare il territorio italiano con l’estrazione di materiali che possono essere sostituiti da altri provenienti dal recupero e riciclo, ma neanche che si continui ad aprire cave e a scavare senza garantire il recupero progressivo delle aree o che continui a crescere il numero di cave abbandonate”. Con queste parole Legambiente mette nero su bianco un problema ambientale fin troppo volte dimenticato: il prelievo insostenibile di materie prime. E lo fa nel nuovo Rapporto Cave 2021 (pdf), analisi puntuale di quanto accade in Italia a livello estrattivo.

Il documento che sarà presentato oggi pomeriggio in diretta streaming, fa luce su due trend: da un lato i nuovi scavi autorizzati, dall’altro le chiusure e gli abbandoni. Ne emerge un settore fortemente influenzato della crisi edilizia, ma ancora lontano da parametri di sostenibilità. Nel dettaglio oggi sono 4.168 le cave attive in Italia, in calo dal censimento del 2017. Inerti, calcare e gesso rappresentano oltre il 64% delle cave totali, ma la percentuale supera l’81% se si analizzano le quantità estratte. Più basso il prelievo di materiali di pregio, come i marmi, ma in questo caso la crisi si è fatta sentire meno per le esportazioni verso Stati Uniti e Medio Oriente. 

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Entrando nel merito dei diversi materiali, secondo il Rapporto Cave 2021 vengono estratti annualmente 29,2 i milioni di m3 di sabbia e ghiaia per le costruzioni. Seguono i volumi di calcare con ben 26,8 milioni di m3 prelevato ogni anni e gli oltre 6,2 milioni di m3 di pietre ornamentali

Nel contempo è aumentato il numero di cave dismesse o abbandonate, ben 727 in più rispetto al Rapporto del 2017. Tuttavia il numero non deve far sorridere dal momento che – spiega Legambiente – solo una piccola parte vedrà un ripristino ambientale.

Diversi i problemi con cui si scontra il settore, a partire da quelli normativi. Al  momento mancano sia criteri unici per il Paese che un impianto di monitoraggio nazionale. Le funzioni amministrative relative alle attività di cava appartengono alle Regioni. Ciò si traduce in limiti all’attività estrattiva fissati in maniera non uniforme. E in alcuni casi addirittura nell’assenza di un vero piano di programmazione. Non solo. La Direttiva europea 85/337 ha imposto che l’apertura di nuove cave fosse condizionata alla procedura di Valutazione di Impatto Ambientale. Peccato che in Italia l’obbligo sia stato recepito solo per gli scavi con superficie maggiore di 20 ettari. A ciò si aggiunge una criticità tutta economica: le entrate percepite dagli enti pubblici con l’applicazione dei canoni sono estremamente basse in confronto ai guadagni del settore.

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“Non esistono più scuse – dichiara Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente -, abbiamo oggi la possibilità di passare da un modello lineare, di grande impatto, a uno circolare dove l’obiettivo è puntare su recupero, riciclo, riqualificazione urbana e territoriale. È una trasformazione sicuramente nell’interesse generale ma anche del settore, perché in questa prospettiva si aprono opportunità di innovazione di impresa e di creazione di nuovi posti di lavoro. Al Governo Draghi chiediamo di cogliere l’occasione dei cantieri del recovery plan per realizzare questo cambiamento”.