Un dossier della Loss and Damage Collaboration sul meccanismo per perdite e danni
(Rinnovabili.it) – Anche se i paesi più ricchi si sono sbilanciati in timide aperture, è abbastanza improbabile che la COP27 riesca a sfornare un buon accordo sul capitolo loss & damage. I finanziamenti per i paesi più colpiti dalla crisi climatica da parte di chi, nella crisi, ha maggiore responsabilità, sono il tema al centro del summit sul clima. Ma se sull’accettazione dell’idea, in linea di principio, forse qualcosa si sta muovendo, tutto è ancora congelato a livello operativo: quanti soldi, da chi, a chi, con quali modalità, sono tutti dettagli essenziali di cui in Egitto non si dovrebbe ancora parlare. Ma quanto costa rimandare ancora una volta la creazione di un meccanismo per le perdite e danni?
Dal 1991, anno in cui Vanuatu ha proposto per la prima volta un meccanismo per affrontare il problema delle perdite e danni, ogni anno 189 milioni di persone sono state colpite da eventi meteorologici estremi. Soprattutto nei paesi in via di sviluppo: qui sono concentrate il 79% delle vittime e il 97% delle persone colpite. Solo nell’ultimo anno, gli eventi estremi in questi paesi sono stati 119. E sia in prospettiva storica, sia restringendo il campo agli ultimi 12 mesi, le risorse necessarie per attutire l’impatto della crisi climatica ci sarebbero.
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I conti li fa la Loss and Damage Collaboration, un ombrello di 24 tra ong e organizzazioni internazionali che include CAN, CIEL, WWF, università di Exeter, Heinrich Böll Stiftung che tiene accesi i riflettori su un aspetto storicamente trascurato dei negoziati sul clima, ma essenziale nell’ottica della giustizia climatica.
Da dove prendere le risorse necessarie? La risposta è: da chi ha contribuito di più alla crisi climatica, cioè l’industria delle fossili. “L’industria dei combustibili fossili ha realizzato tra il 2000 e il 2019 un numero di superprofitti tale da coprire quasi 60 volte i costi delle perdite economiche indotte dal clima in 55 dei Paesi più vulnerabili al clima. Sono stati generati enormi ricavi, ma i maggiori responsabili della crisi devono ancora pagare”, si legge nel dossier “The cost of delay”, il costo del ritardo.
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Lo stesso ragionamento vale anche per l’ultimo anno. “Nella prima metà del 2022 sei aziende produttrici di combustibili fossili da sole hanno guadagnato abbastanza da coprire i costi dei principali eventi climatici e meteorologici estremi nei paesi in via di sviluppo e conservare ancora quasi 70 miliardi di dollari di profitto puro”, prosegue il rapporto.