Rinnovabili • Nuovo obiettivo finanza climatica: fumata “grigia” a Bonn Rinnovabili • Nuovo obiettivo finanza climatica: fumata “grigia” a Bonn

Nuovo obiettivo di finanza climatica, a che punto siamo sul NCQG?

Ai negoziati intermedi di Bonn la distanza tra Nord e Sud globale resta molto grande. Ma si è iniziato a parlare di cifre: almeno 1000 miliardi di dollari l’anno a partire dal 2025. Il nuovo target dovrà essere deciso alla Cop29 di Baku, a novembre, e sostituirà il precedente di 100 mld $ l’anno entro il 2020

Nuovo obiettivo finanza climatica: fumata “grigia” a Bonn
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Proposta una tassa globale per supportare il nuovo obiettivo di finanza climatica

Se i negoziati intermedi in corso a Bonn danno il polso della situazione che ci aspetta alla Cop29 di Baku, in Azerbaijan servirà un enorme sforzo di mediazione per trovare la quadra sul nuovo obiettivo di finanza climatica post 2025. Le posizioni sono ancora molto distanti, soprattutto sull’ammontare complessivo da mobilitare ogni anno fino al 2030. E le delegazioni, ieri, hanno deciso di rimandare la discussione ai prossimi mesi.

Almeno 1000 mld $, sarà la soglia minima del nuovo obiettivo di finanza climatica?

Una fumata “grigia”, non nera. I negoziati per dare forma e sostanza al Nuovo Obiettivo Quantificato Collettivo (NCQG) per la finanza climatica hanno prodotto dei passi in avanti. Qualche numero sul tavolo, ora, c’è. La prima cifra l’ha fissata il gruppo G77 + Cina: 1000 miliardi di dollari l’anno. Cioè 10 volte più dell’obiettivo precedente, che doveva essere raggiunto nel 2020 ma, a fatica, è stato centrato solo due anni più tardi. I gruppi degli stati arabi e africani ha parlato di 1.100-1.300 mld $ l’anno.

Mancano, invece, le proposte da parte dei paesi a economia avanzata. Accusati, dal Sud globale, di fare ostruzionismo rifiutandosi di parlare di cifre. Prima di mettere un numero al nuovo obiettivo per la finanza climatica, infatti, i paesi più ricchi vogliono ridefinire il perimetro dei paesi donatori. Includendo anche economie emergenti con ampia disponibilità economica, come molti paesi arabi produttori di petrolio. E come la Cina, che nonostante sia ormai la 2° economia mondiale è ancora classificata come in via di sviluppo nel contesto dei negoziati sul clima. Gli Stati Uniti, invece, agitano anche un altro tema: non vogliono che il NCQG sia obbligatorio (com’era il target precedente) ma basato solo su contributi volontari.

D’altronde i due aspetti del problema – cifra totale e chi contribuisce – sono inevitabilmente legati. È difficile pensare che i paesi più ricchi, da soli, possano mobilitare un volume 10 volte maggiore di quello che hanno raggiunto a lenti passi nell’arco di 13 anni. Anche facendo leva sul settore privato e su iniziative multilaterali. Ciò che conta davvero – per tutti i paesi che negoziano il nuovo target – è che le risorse non solo arrivino in quantità sufficiente, ma anche in tempo. il nuovo obiettivo di finanza climatica, insomma, dev’essere credibile e concretamente realizzabile.

Una tassa globale?

Si ripartirà da un testo informale, 35 pagine stilate dalla Germania. Che scontenta tutti. Include le posizioni espresse dalle delegazioni e non va ancora verso una loro convergenza. Non sono però mancate delle proposte più concrete su come mobilitare le risorse necessarie per il NCQG. Come quella delineata dal G77 + Cina.

L’ipotesi è una tassa globale su transazioni finanziarie, imprese tecnologiche, settore della difesa e aziende di moda. Dalla sola finanza si ricaverebbero 240 mld $ l’anno con aliquote variabili tra 0,005 e 0,5% sui diversi prodotti e servizi, mentre altri 57 mld arriverebbero da una tassa del 5% sulle vendite annuali delle 7 maggiori aziende tecnologiche. Sempre al 5% sarebbe l’aliquota per le 80 maggiori aziende di moda, che varrebbe 34 mld, e per l’industria della difesa da cui arriverebbero 21 mld l’anno. In tutto, da questa tassa globale si ricaverebbero 441 mld. A cui andrebbero aggiunti altri 661 mld da finanza privata. Secondo il G77 + Cina, a conti fatti queste misure implicherebbero che i paesi più ricchi spendano in finanza climatica solo lo 0,8% del loro pil. Una frazione di quel 6,9% del pil che, in media, i paesi in via di sviluppo oggi spendono per ripagare gli interessi sul debito.

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About Author / Lorenzo Marinone

Scrive per Rinnovabili dal 2016 ed è responsabile della sezione Clima & Ambiente. Si occupa in particolare di politiche per la transizione ecologica a livello nazionale, europeo e internazionale e di scienza del clima. Segue anche i temi legati allo sviluppo della mobilità sostenibile. In precedenza si è occupato di questi temi anche per altri siti online e riviste italiane.