Il 14 ottobre i ministri dell’Ambiente hanno formalizzato la posizione negoziale dell’Europa. L’accordo sul nuovo obiettivo post 2025 per la finanza climatica è la priorità numero 1. Ma l’UE non seguirà nessuna delle raccomandazioni degli osservatori più accreditati
La posizione dell’Europa sull’obiettivo più importante della Cop29 non cambia. Bruxelles lo ripete da 3 anni e lo ribadirà anche a Baku il mese prossimo: prima di parlare di qualsiasi cifra per il nuovo target di finanza climatica bisogna allargare la base dei paesi che contribuiscono. Lo hanno stabilito i ministri dell’Ambiente dei 27 paesi membri il 14 ottobre, approvando la posizione comune da tenere ai negoziati sul clima Cop29.
Bruxelles chiede che il vertice sul clima in Azerbaijan raggiunga 3 obiettivi principali. La finanza sul clima è uno di questi. Ed è l’unico filone tematico citato tra le priorità, visto che gli altri punti sono orientamenti generali.
L’UE chiede un risultato “ambizioso ed equilibrato”, che:
- mantenga raggiungibile l’obiettivo di tenere il riscaldamento globale sotto 1,5°C,
- avanzi verso una “resilienza a lungo termine”,
- concordi un Nuovo Obiettivo Collettivo Quantificato (New Collective Quantified Goal, NCQG) “efficace, realizzabile e ambizioso”.
Negoziati sul clima, alla Cop29 si rischia lo stallo sulla finanza
La posizione UE definitiva in merito alla finanza climatica ai negoziati sul clima Cop29 non sarà accolta con favore né dai paesi del Sud globale né dagli osservatori che seguono il summit. Su molti punti è distante, ad esempio, dalle raccomandazioni formulate a inizio mese da Climate Action Network (CAN).
Il più evidente riguarda il porre la richiesta di allargare il numero dei paesi che devono contribuire all’obiettivo come precondizione per discutere della cifra da mobilitare ogni anno. Nelle conclusioni del Consiglio Ambiente del 14 ottobre, i Ventisette ribadiscono la “necessità di ampliare il gruppo dei contributori come prerequisito per un NCQG ambizioso, che rifletta l’evoluzione delle rispettive capacità economiche e l’aumento delle quote di emissioni globali di gas serra dall’inizio degli anni ’90, nonché la loro natura dinamica”.
Secondo CAN, è una posizione che continuerà a bloccare i negoziati. Servirebbe, almeno, che l’UE e gli altri paesi donatori chiarissero in che modo intendono aumentare le risorse di finanza pubblica da mobilitare. Soprattutto alla luce della difficoltà di raggiungere l’obiettivo precedente di 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2020, la sproporzione tra prestiti e sovvenzioni e lo storno di fondi della cooperazione allo sviluppo per la finanza climatica (vale a dire l’usanza di non mobilitare solo risorse nuove ed aggiuntive).
Altro punto scivoloso: il ruolo della finanza privata. Per l’UE tutte le fonti di finanziamento sono “complementari e si supportano reciprocamente”. Non ci sono altre indicazioni, né sulla proporzione tra le fonti né sulla necessità di destinare certe fonti e usare certi strumenti per determinati contesti e destinatari. Sarà un passo falso, avvertiva CAN: “Una lezione fondamentale che si può trarre dal precedente obiettivo di finanziamento internazionale per il clima pari a 100 miliardi di dollari (2020-2025) è che, soprattutto nei contesti vulnerabili e fragili dal punto di vista climatico, la finanza privata guidata dal mercato è insufficiente, non disponibile, inadatta e genera un debito insostenibile”. Nella posizione UE per i negoziati sul clima Cop29 manca poi l’impegno a mobilitare finanza climatica cancellando e rimodulando sussidi ambientalmente dannosi, a partire da quelli alle fossili.