Mancano 60 giorni al vertice sul clima di Baku
A poche settimane dall’inizio dei negoziati COP29, c’è ancora una distanza siderale tra paesi ricchi e paesi in via di sviluppo sul futuro della finanza climatica. Gli incontri intermedi di Baku si sono chiusi la scorsa settimana con una fumata nera. Nessun progresso sui punti chiave, poca chiarezza sulle intenzioni delle parti e pochissima fiducia reciproca hanno avvelenato i negoziati.
Negoziati COP29, il tema chiave della finanza climatica
La finanza climatica è il tema principale del vertice sul clima che si terrà a novembre a Baku, in Azerbaijan. Durante la COP29 bisogna approvare il nuovo pacchetto sulle misure finanziarie per supportare adattamento e mitigazione della crisi climatica per i paesi con economie meno avanzate, spesso i più colpiti dagli effetti del cambiamento climatico.
In pratica, i quasi 200 paesi che partecipano ai negoziati dovranno definire il quadro della finanza per il clima post 2025, noto come New Collective Quantified Goal (NCQG, Nuovo Obiettivo Collettivo Quantificato). Il NCQG aggiorna e sostituisce il vecchio obiettivo, stabilito nel 2009, che prevedeva che i paesi ricchi fornissero 100 miliardi di dollari l’anno ai paesi bisognosi entro il 2020.
Si tratta del principale strumento con cui la diplomazia del clima prevede di assicurare che la transizione ecologica sia giusta e il più armonica possibile, limando le differenze di capacità (economiche, tecnologiche, finanziarie) tra paesi.
All’architettura e ai dettagli del NCQG si lavora da anni, e il tema è entrato apertamente nelle sale dei vertici internazionali sul clima almeno dalla COP26 di Glasgow. Ciò nonostante, la discussione continua a girare a vuoto intorno ad alcuni dei cardini della questione. Su cui la distanza tra paesi donatori e paesi destinatari dei fondi è sempre molto grande.
Le posizioni negoziali sui temi chiave
Quali sono questi temi e quali sono i punti su cui i negoziati si continuano ad arenare? I due punti principali, e più dibattuti, sono il perimetro dei paesi donatori e l’ammontare complessivo del nuovo obiettivo post 2025:
- Chi deve contribuire? Da 2 anni i paesi con economie avanzate chiedono di rivedere la platea dei paesi donatori. Vogliono che lo sforzo finanziario sia sostenuto anche da quegli Stati che, oggi, hanno le risorse necessarie, ma 30 anni fa, quando è stato definito per la 1° volta chi rientra fra i donatori, era in tutt’altre condizioni. Un caso su tutti è quello della Cina, che ai negoziati COP29 siederà ancora formalmente in qualità di “paese in via di sviluppo”.
- Come quantificare il nuovo obiettivo? Finora l’unico aspetto chiaro è che il NCQG sarà decisamente superiore ai 100 mld l’anno del target precedente. Ma quanto più alto, cosa comprenderà, e come saranno suddivise le diverse modalità di finanziamento, resta ancora tutto da determinare. Le Nazioni Unite continuano a parlare di almeno 2.400 mld l’anno, alcuni paesi in via di sviluppo hanno suggerito almeno 1.000 mld l’anno, ma i negoziati non sono arrivati a nessun punto fermo.
A Baku, la scorsa settimana, i paesi più ricchi hanno reiterato la richiesta di allargare la base dei paesi donatori. Senza successo: il gruppo dei 77, che raccoglie molti paesi in via di sviluppo, ha rispedito la proposta al mittente. E ha posto delle condizioni aggiuntive. Tra queste, figurano:
- garantire che la maggior parte della finanza per il clima sia in forma di sovvenzioni e non di prestiti;
- assicurare che il canale di finanziamento sia principalmente quello pubblico (mentre i paesi ricchi chiedono che il settore privato giochi un ruolo determinante, ritenuto necessario per mobilitare risorse sufficienti);
- includere anche le perdite e i danni (loss and damage) tra gli obiettivi del NCQG, a fianco di adattamento e mitigazione.
Punti su cui i paesi più ricchi non sembrano voler neppure avviare un negoziato, tanto che alcuni osservatori li accusano di “agire in cattiva fede”. “Dopo quasi 3 anni di dialogo e negoziazione, siamo ancora molto lontani da un accordo su alcuni degli aspetti chiave del NCQG. Con così tante questioni aperte, a poche settimane dalla COP29, ci troviamo di fronte alla reale possibilità di un esito negativo che minaccerà l’esistenza stessa dell’accordo di Parigi e eroderà la fiducia residua nel processo multilaterale”, ha affermato Bertha Argueta dell’ong Germanwatch.