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Negoziati sul clima di Bonn, la Cop29 è già in salita

La sessione negoziale intermedia prima del vertice sul clima che si terrà a Baku a novembre non ha portato a progressi su nessun fronte. Mancano anche testi provvisori da cui ripartire alla Cop29. Non è la prima volta che accade, ma quest’anno molti dossier sono “ostaggio” dello scontro attorno alla finanza climatica. Senza passi avanti sul tema, in Azerbaijan trovare un accordo su qualche progresso concreto sarà difficile

Negoziati clima Bonn: nessun accordo di sostanza, Cop29 in salita
crediti: UNClimatechange via Flickr CC BY-NC-SA 2.0

L’appuntamento intermedio prima di Baku non ha prodotto documenti negoziali da cui ripartire alla Cop29

Quasi zero passi in avanti, ben pochi testi consolidati da cui ripartire alla Cop29, molta diffidenza fra le delegazioni. Soprattutto sul tema della finanza climatica, il carburante che continua a mancare per sbloccare i filoni negoziali su mitigazione e adattamento. Dai negoziati sul clima di Bonn, l’appuntamento intermedio prima del vertice di Baku a novembre e conclusosi il 13 giugno, arriva una sola certezza: la Cop29 si preannuncia davvero ostica, come mai in questi ultimi anni.

Tutto fermo sulla finanza per il clima

Il macigno che ha pesato sui negoziati di Bonn è il dossier della finanza per il clima. Sarà al centro della Cop29, necessariamente, perché entro l’anno bisogna trovare un’intesa sul quadro del climate financing post-2025, il Nuovo Obiettivo Collettivo Quantificato (NCQG). Ma a Bonn le posizioni sul NCQG sono apparse quasi identiche a quelle su cui i delegati si erano lasciati dopo la Cop28 di Dubai.

Nessuna delle questioni più incandescenti è diventata più trattabile. A quanto ammonta l’obiettivo di risorse da mobilitare ogni anno, chi le deve mettere a disposizione, chi è titolato a riceverle: tutti aspetti che dovranno essere sciolti a Baku.

Il Nord globale ha continuato a non mettere sul tavolo nessuna cifra, almeno a livello ufficiale. Ufficiosamente, l’idea sarebbe di limitarsi a offrire un “più di 100 miliardi l’anno”, cioè semplicemente più dell’ammontare del target precedente. E ha insistito nell’espandere la platea dei donatori ai paesi con economie emergenti che più contribuiscono alla crisi climatica con le emissioni attuali. La Cina, su tutti, ma anche molti paesi arabi produttori di petrolio e gas.

Il Sud globale, dal canto suo, ha provato a stanare – senza alcun successo – i paesi più ricchi proponendo una cifra, almeno 1.000 miliardi di dollari l’anno. Alcuni paesi hanno dettagliato una proposta che prevede una tassa globale su finanza, difesa, moda e altri settori per arrivare all’obiettivo. Ma non ci sono state discussioni formali in merito. In ogni caso, si tratta di cifre ben più basse dei 2.400 miliardi di dollari l’anno che l’Onu ritiene necessari per la finanza climatica.

Mitigazione e adattamento, ostaggio della finanza climatica

A cascata, lo stallo sulla finanza climatica ha paralizzato anche i lavori sul pilastro della mitigazione, incardinati sul Programma di Lavoro di Sharm el-Sheikh. Anche qui nulla di fatto. Se sulla finanza si ripartirà da un testo informale di 35 pagine che riassume le divergenze tra le delegazioni, sulla mitigazione non c’è neppure quello.

Uno degli scogli principali non riguarda questioni inerenti il Programma in sé, ma proprio il tema della finanza. Senza prima ottenere garanzie sulle risorse che saranno messe a disposizione, i paesi in via di sviluppo non vogliono neppure iniziare a discutere di impegni per ridurre le emissioni.

Anche sul capitolo relativo all’adattamento i progressi sono stati effimeri. Il tema al centro dei negoziati sul clima di Bonn erano i piani nazionali. Ad oggi abbiamo una bozza di testo che fa poco più che prendere atto dei piani presentati, sottolineando i ritardi nell’approvazione dei documenti da parte della maggioranza degli stati. Ma persino questo abbozzo è stato poi rimesso nel cassetto e non figura tra i documenti ufficiali da cui si ripartirà a Baku tra meno di 5 mesi.

Gli altri temi discussi ai negoziati sul clima di Bonn

Il dissenso ha regnato anche durante il confronto sulla Global Stocktake. Il prossimo momento collettivo di verifica dei progressi nel rispetto dei target di Parigi, previsto dall’Accordo del 2015, si terrà nel 2028. Adesso si tratta di definire dettagli solo apparentemente tecnici come le procedure di raccolta dati. Neppure su questi aspetti è emerso un consenso. Resta, anche qui, solo un documento informale che sintetizza le diverse posizioni.

Sul controverso articolo 6 del Paris Agreement, quello che regola la creazione di mercati del carbonio, si è arrivati invece a due testi negoziali, bozze che saranno limate a Baku. Ma ciò è stato possibile solo rimandando (al 2028) il tema più complesso, se accettare o meno il conteggio delle emissioni evitate per l’emissione di crediti di carbonio. Come giustamente nota Italian Climate Network, “nel frattempo però le emissioni evitate stanno prosperando come prodotto di offsetting su tutti i principali mercati internazionali in attesa di regolamentazione sotto l’UNFCCC ed i sistemi nazionali”.

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About Author / Lorenzo Marinone

Scrive per Rinnovabili dal 2016 ed è responsabile della sezione Clima & Ambiente. Si occupa in particolare di politiche per la transizione ecologica a livello nazionale, europeo e internazionale e di scienza del clima. Segue anche i temi legati allo sviluppo della mobilità sostenibile. In precedenza si è occupato di questi temi anche per altri siti online e riviste italiane.