Presentata a Venezia, nel corso del Venice Sustainable Fashion Forum, l’analisi Just Fashion Transition, che verifica quanto la filiera della moda sia realmente sostenibile
(Rinnovabili.it) – Nella cornice del Venice Sustainable Fashion Forum, evento dedicato alla moda sostenibile, è stato presentato lo studio Just Fashion Transistion, realizzato da The European House – Ambrosetti.
L’analisi mostra le spinte di forte crescita del mercato globale della moda, sottolineando come solo una parte residuale di questo business guardi all’economia circolare. Il focus sull’Italia evidenzia la relazione tra mancata sostenibilità e dimensione contenuta delle imprese, mentre il quadro globale, in assenza di dati dettagliati, può misurare solo a spanne gli impatti sociali e ambientali del settore.
Lo studio, coordinato da Carlo Cici, Partner e Head of Sustainability di The European House – Ambrosetti, scandaglia opportunità e sfide del settore della moda sostenibile attraverso l’analisi e la valutazione delle prestazioni economico-finanziarie di 2.700 aziende inserite nelle catene di fornitura del fashion, di cui 167 italiane, e analizza le politiche di sostenibilità delle 100 maggiori imprese di moda UE.
Quanto è sostenibile la moda in Italia, in Europa e nel mondo?
I principali fattori che nei prossimi anni influenzeranno il mondo della moda e determineranno se e quanto riuscirà a essere sostenibile sono, secondo le analisi del documento, il fast fashion, le tecnologie digitali e i giovani.
Gli attuali trend prevedono una crescita del settore del 6% annuo globale: gli ultimi tre decenni hanno visto una velocizzazione dei tempi di produzione che si è tradotta dai 9 mesi degli anni ‘90 ai tre giorni del 2020, e contemporaneamente i prezzi sono nettamente calati: in UK del 54% dal 1995 al 2014, mentre per gli altri beni le percentuali si attestano al 49%.
Nonostante il miglioramento delle performance produttive, solo il 3,5% del mercato globale è interessato da pratiche di economia circolare: che la moda sia un settore poco sostenibile è intuibile ma non possiamo avere dati certi, visto che abbiamo solo stime di informazioni essenziali come il contributo alle emissioni climalteranti (tra il 2 e l’8,1%) o lo spreco idrico (dai 79 ai 215 miliardi di metri cubi). Anche sul fronte sociale non abbiamo dati certi, ma sappiamo che a livello globale lavorano all’interno della filiera tra i 60 e i 75 milioni di persone, la maggior parte delle quali proviene da Paesi in via di Sviluppo dove è più frequente ci siano fenomeni di sfruttamento, lavoro minorile o condizioni pericolose per la sicurezza e la salute.
Una mole più solida di dati è invece fornita dall’Europa, e dimostra che il 75% delle esternalità negative del business del fashion è prodotto fuori dall’Unione.
Il focus italiano della ricerca ha analizzato più di 2.000 aziende e il primo dato a emergere è la prevalenza di piccole imprese: più della metà ha fatturati di meno di 5 milioni all’anno e solo il 3% supera i 50 milioni di euro. La valutazione ha indagato quanto il settore della moda in Italia sia sostenibile a partire dall’analisi di 167 aziende di filiera. Le conclusioni dello studio sono che più aumentano le dimensioni dell’azienda e maggiori sono le attenzioni alla sostenibilità con strumenti come monitoraggio delle performance, introduzione di figure dedicate, certificazioni di processi e prodotti, analisi dei materiali, misurazione dell’impronta ecologica, rendicontazione e valutazione dei diritti umani lungo le catene di fornitura.
Le raccomandazioni per rendere il mondo della moda sostenibile
Lo studio si conclude con una serie di raccomandazioni utili a rendere maggiormente sostenibile il business della moda, come l’adozione anticipata, da parte dei brand, degli strumenti facoltativi e obbligatori UE, l’alleanza tra gli attori di filiera per investire in innovazione e diffusione di buone pratiche, la collaborazione con le associazioni di categoria, con la costituzione di un osservatorio permanente per la moda sostenibile, ma anche lo sguardo verso l’esterno delle catene di fornitura, attraverso una serie di eventi dedicati ad ambiente e diritti umani per diffondere la cultura della sostenibilità a 360°.
Ultima raccomandazione dello studio è rivolta alla filiera del lusso, particolarmente forte in Francia e Italia, che deve – secondo gli autori – fare da avanguardia e dettare l’agenda alle istituzioni internazionali ma anche impegnarsi in prima persone, investendo quote fisse dei profitti per la definizione di modelli circolari scalabili.