Il mercato globale del carbonio rimpiazza il precedente sistema del protocollo di Kyoto
(Rinnovabili.it) – La COP26 di Glasgow ha reso definitivamente operativo l’accordo di Parigi. Nel 2015 il summit aveva approvato il testo, ma aveva lasciato alcuni dettagli tecnici da definire in seguito. In particolare l’articolo 6, che riguarda la cooperazione internazionale sul clima e include un punto davvero cruciale come la creazione di un mercato globale del carbonio.
Dopo l’affondo sugli aspetti legati alla mitigazione presenti nel Patto sul clima di Glasgow e l’approfondimento sui risultati sul fronte della finanza climatica, in questa terza analisi vediamo da vicino cosa ha deciso la COP26 sul global carbon market (l’articolo 6.4 dell’accordo di Parigi).
I crediti di Kyoto
Il mercato globale del carbonio creato a Glasgow soppianta un meccanismo analogo e precedente, istituito nel 2013 nell’ambito del protocollo di Kyoto. Una delle questioni di cui si è discusso dal 2015 a oggi è cosa fare dei vecchi crediti di carbonio. Molti paesi avrebbero voluto “trasportarli” nel nuovo mercato globale del carbonio per non doverne acquistare di nuovi. Questo, però, avrebbe indebolito la forza del carbon market di guidare i paesi verso una riduzione delle emissioni, che si basa sull’eliminazione graduale di un certo ammontare annuo di crediti.
La COP26 ha trovato una soluzione di compromesso: una parte dei vecchi crediti potrà valere anche nel nuovo sistema. Si tratta di quote che valgono 320 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. Il totale delle quote in circolazione nel sistema di Kyoto era di 4 miliardi.
Doppio conteggio
Lo scoglio principale per disegnare il nuovo mercato globale del carbonio è stato il nodo del doppio conteggio, cioè le regole con cui i paesi possono far valere i crediti – e quindi le riduzioni delle emissioni, in forma di offset – nel bilancio dei loro contributi nazionali volontari (NDC). Gli NDC sono i piani decennali presentati da ogni paese all’Unfccc con gli obiettivi sul clima.
Su questo punto, le nuove regole impediscono che si possa dare un doppio conteggio. Ma le pieghe del testo negoziale potrebbero nascondere qualche scappatoia. Si impone ai paesi di effettuare per tutti i crediti di carbonio gli “aggiustamenti corrispondenti” (corresponding adjustments), cioè dichiarare quale dei due paesi è beneficiario della riduzione delle emissioni a cui si riferisce il credito. Se per esempio l’Italia acquisisce dei crediti dal Brasile, solo uno dei due paesi potrà dichiarare il calo di emissioni corrispondente a quei crediti nel proprio NDC.
Punto positivo: l’obbligo sugli aggiustamenti corrispondenti vale per tutti i crediti, che siano usati negli NDC o che siano contati in altri schemi di mitigazione. In questo modo la COP26 ha evitato che un paese possa far valere due volte le sue quote, presentandole anche in altri sistemi come, ad esempio, quello di compensazioni delle emissioni degli aerei creato dall’Onu, il CORSIA. Bene anche lo stop ai crediti generati con il sistema REDD+ che sono generati dalla “deforestazione evitata”. Si tratta di un sistema che non ha mai realmente funzionato e avrebbe “drogato” il mercato globale del carbonio.
Male invece la quota dei proventi del mercato del carbonio globale che sarà destinata a misure di adattamento al cambiamento climatico, quelle di cui i paesi vulnerabili hanno più necessità: sarà solo un misero 2%. E riguarda solo una parte dei proventi, non il totale mobilitato da tutte le forme di scambio emissioni.
Scappatoie più mascherate potrebbero invece nascondersi nella possibilità, per i progetti compensativi in vigore sotto Kyoto, di riciclarsi all’interno del nuovo mercato globale del carbonio. Il problema è il loro effettivo contributo alla riduzione delle emissioni, visto che si tratta di progetti già in corso che avrebbero comunque continuato a operare. I crediti generati dai progetti ex-Kyoto, però, saranno distinti da quelli nuovi del sistema di Parigi: per molti, questo permetterà di monitorare chi li compra e fare pressioni affinché ciò non accada. (lm)