di Mauro Spagnolo
(Rinnovabili.it) – Falck Renewables ha annunciato a Key Energy di trasformarsi in RENANTIS presentando un manifesto che evidenzia gli obiettivi chiave di questa nuova realtà: cura, innovazione, diversity ed efficacia.
Si tratta di una evoluzione del brand dovuta all’acquisizione del marchio da parte di un fondo internazionale, di cui J.P. Morgan Investment Management è advisor. Conoscendo bene le potenzialità del solido marchio nello sviluppo delle rinnovabili a livello internazionale, abbiamo voluto incontrare l’ing. Marco Cittadini, CEO di Falck Renewables Next Solutions, per capire meglio i motivi e le potenzialità di questa interessante metamorfosi.
Ing. Marco Cittadini, partiamo subito dalla novità: perché la trasformazione di Falck Renewables in RENANTIS? Cambierà la vostra visione e le vostre strategie?
Assolutamente no, amplierà semplicemente i nostri orizzonti.
L’acquisizione è stata per noi un passaggio importante non solo perché ha dimostrato – e confermato – il successo e la notevole crescita dell’azienda, ma anche perché ci permette di investire di più nel futuro grazie alla forza finanziaria e alla presenza internazionale del fondo stesso. Questo ci consente di aumentare la potenza che noi abbiamo per poter realizzare i nostri ambiziosi piani di crescita.
L’approccio alla condivisione del valore con le comunità locali contraddistingue da sempre l’impegno di Falck Renewables nello sviluppo di nuovi progetti. Cosa vuol dire questo in pratica? In quali modi è possibile coinvolgere le realtà locali? E quanto conta questo aspetto nella strategia di sostenibilità dell’azienda?
Conta moltissimo. La partecipazione e la condivisione dei nostri progetti con il territorio è per noi un approccio molto importante. Premetto: Falck Renewables, oggi Renantis, è anche una società integrata – cioè spazia dalla produzione al consumo – in quanto offre ai consumatori anche servizi per poter ottimizzare i loro aspetti di sostenibilità con attività di autoproduzione, con attività di supporto alla digitalizzazione dell’energia, con partecipazione ai meccanismi demand response. Quindi già nel modello di business noi abbiamo a cuore una gestione dell’energia a 360° su tutto il suo ciclo di vita e non solo sui singoli aspetti.
In particolare, quando sviluppiamo un impianto di grande taglia, impianto che può implicare un impatto sul territorio, Falck Renewables da molti anni imposta l’attività cercando di coinvolgere il più possibile, e attivamente, le comunità locali nei benefici del progetto stesso. Questa le assicuro non è un’affermazione di supporto al nostro marketing. Noi traduciamo questo approccio in meccanismi concreti che abbiamo messo a punto nel tempo e che si attuano in diverse forme in funzione delle esigenze e delle “culture” locali.
Mi faccia un esempio….
Gli approcci possono essere diversi: in Inghilterra, ad esempio, abbiamo consentito ad alcune comunità rurali di partecipare alla proprietà dell’impianto potendo beneficiare degli investimenti che vengono realizzati. Oppure abbiamo chiesto alle comunità territoriali di co-investire partecipando ad un finanziamento il cui rendimento è indicizzato al rendimento dell’impianto stesso. O ancora, per mantenere un contatto e un dialogo attivo con le comunità locali già dalle fasi autorizzative dei progetti, abbiamo creato una struttura dedicata preposta a far da ponte con il territorio per recepire e condividere le informazioni su ciò che accade.
Come ormai tutti sanno, per svincolarci dalla dipendenza del gas dovremmo puntare sempre di più sulle rinnovabili, ma gli iter autorizzativi continuano ad essere un freno. Quali sono a suo avviso le maggiori criticità?
Sicuramente gli aspetti autorizzativi sono un importante elemento che sta rallentando lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Se vediamo gli obiettivi dei vari piani elaborati a livello politico, o a livello degli operatori di rete, ci sono notevoli ambizioni di crescita della capacità installata: dai 40 GW in su, a seconda degli scenari. Chiaramente ad oggi se si guarda alla massa dei progetti in autorizzazione, che se ricordo bene ha superato ormai quasi i 250 GW, abbiamo una potenza di realizzazione di impianti che è davvero molto elevata. Non è detto ovviamente che tutti i progetti siano fattibili o di qualità, ma è un segnale chiaro che dal punto di vista del settore esista una forte capacità e volontà di investire in questo settore, e senza capitali pubblici.
Dinanzi a questo quadro uno dei temi basilari è quello di ottimizzare e velocizzare l’aspetto autorizzativo. Aspetto autorizzativo che dovrebbe essere semplificato anche per il repowering degli impianti e non unicamente per quelli nuovi.
Ecco, mi sembra che l’attività di repowering sia per voi una componente importante…
Sicuramente si. Nel momento in cui un impianto è obsoleto dal punto di vista tecnologico, l’utilizzo dello stesso sito per un’ottimizzazione della produzione è per noi un obiettivo importante.
Parliamo di agrivoltaico. Avete avviato i lavori di costruzione di un grande impianto a Landolina, in provincia di Ragusa. Come vede le possibilità di sviluppo in Italia di questa soluzione?
La possibilità di utilizzare il territorio per un duplice fine, quello agricolo e quello energetico, in modo coordinato ed efficiente per entrambi gli aspetti, rende l’agrivoltaico una soluzione con un potenziale molto elevato. Nello specifico, nel progetto del parco agrivoltaico di Landolina abbiamo coinvolto alcuni studenti in un progetto di imprenditoria sostenibile e lanciato un progetto di crowdfunding che consente alla comunità locale di investire e partecipare agli utili..
Sono soluzioni – come dicevo – con un grande potenziale, ma è indispensabile confrontarsi sempre, e in modo rigoroso, con il territorio.