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Lockdown e rifiuti speciali, l’industria di settore perde un miliardo

Per gli esperti si sono persi complessivamente due mesi lavorativi tra fermo e ripartenza, con un calo compreso tra i 4,2 e i 4,8 milioni di tonnellate di rifiuti speciali solo nelle tre Regioni più colpite. Viaggiano a un ritmo opposto invece i rifiuti sanitari. “Le complessità italiane, che da troppo tempo frenano la costruzione di impianti, rischiano di diventare drammatiche in un comparto dove la termovalorizzazione è necessaria per ovvie ragioni di sicurezza sanitaria”

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Foto di Mabel Amber da Pixabay

L’analisi sui rifiuti del Was, il think tank ad hoc di Althesys

di Tommaso Tetro

(Rinnovabili.it) – L’impatto del lockdown si fa sentire anche sui rifiuti speciali. La perdita è di un miliardo per l’industria del settore. A calcolarlo è il Was (Waste strategy), il think tank sull’industria dei rifiuti e il riciclo di Althesys, la società di consulenza strategica ambientale guidata dal bocconiano Alessandro Marangoni.

Gli economisti ipotizzano – in base a una prima stima sulle conseguenze economiche della chiusura di numerose attività, partendo dai settori indicati dal Dpcm del 25 marzo 2020 – che si siano persi complessivamente due mesi lavorativi tra fermo e ripartenza, con un calo compreso tra i 4,2 e i 4,8 milioni di tonnellate di rifiuti speciali solo nelle tre Regioni più colpite: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.

Viaggiano a un ritmo dal segno opposto invece i rifiuti sanitari – viene spiegato – nicchia di mercato assai più piccola e redditizia, che l’improvvisa e imprevedibile impennata dei volumi da gestire sta tuttora mettendo a dura prova. Secondo l’analisi “le complessità italiane, che da troppo tempo frenano la costruzione di impianti, rischiano di diventare drammatiche in un comparto dove la termovalorizzazione è necessaria per ovvie ragioni di sicurezza sanitaria”.

Anche sui rifiuti urbani si è al riparo dagli effetti dell’emergenza Covid-19, dato che per la produzione è previsto un calo in seguito alla contrazione dei consumi: ipotizzando una riduzione del Pil tra il 6% e l’8% su base annuale, la minor produzione di rifiuti urbani potrebbe arrivare fino a 2,5 milioni di tonnellate. La crisi poi ha effetti anche sulla tariffa rifiuti, già oggetto di proroghe. Il settore più colpito è la ristorazione, quello più penalizzato dal blocco delle attività – prosegue lo studio – e “le misure introdotte da Arera (l’Authority per energia, gas, acqua e ambiente) rischiano di non bastare. Il paradosso è poi l’onere” che potrebbe “colpire esercizi chiusi che si trovano comunque a pagare per rifiuti non prodotti”.

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Peraltro – viene messo in evidenza – “il calo di queste attività ridurrà solo parzialmente gli oneri dei gestori, data la struttura di costi fissi e la necessità di assicurare la continuità del servizio. Trovare la quadra tra ridurre i ricavi delle imprese di waste management e non penalizzare gli utenti non è però facile”.

“La ricostruzione post-Covid da una situazione drammatica senza precedenti – spiega Marangoni – dovrà anche ripensare alcuni aspetti del nostro sistema di waste management. Paradossalmente, la crisi indotta dalla pandemia potrà essere un’opportunità per affrontare con determinazione le debolezze del nostro Paese nei rifiuti: carenze di infrastrutture, burocrazia, indecisionismo politico, apatia (o peggio ostilità) sociale”.

Secondo i dati del rapporto Was “il settore vale 12 miliardi; le maggiori 230 aziende che si occupano di raccolta, trattamento, smaltimento e selezione rifiuti urbani hanno registrato nel 2019 un valore di produzione di 11,7 miliardi di euro, con un aumento sia dei rifiuti gestiti (più 6,4%) che degli investimenti (più 4,1%), rispetto al 2018”. In Italia – come viene confermato dal rapporto – c’è un’eterogeneità della situazione delle società che si occupano di ambiente: “la distanza tra la prima delle 120 aziende per valore della produzione (una società con 1,2 miliardi di euro solo nel waste) e l’ultima (con meno di 10 milioni) è infatti molto ampia. Nel 2019 le grandi quotate hanno generato il 31% del valore di produzione, coprendo poco meno di 3mila Comuni e il 30% dei rifiuti raccolti.

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Alle piccole e medie se ne deve invece il 23%, con il 40% delle municipalità servite”; allo stesso tempo “la raccolta differenziata media aumenta dell’1,7%, passando dal 63% al 64,7%, rispetto a un dato nazionale che era nel 2018 del 58,1%. Sono stati appunto i maggiori player a far crescere il mercato anche nel 2019, nonostante il quadro macroeconomico debole. I rifiuti gestiti dalle 120 aziende ‘migliori’ della raccolta, trattamento e smaltimento si sono attestati su 26,5 milioni di tonnellate, con un aumento del 6,4%” rispetto all’anno precedente. In particolare “le sole aziende di igiene urbana hanno raccolto 22,8 milioni di tonnellate, aumentate del 6,5% rispetto al 2018. Sono cresciuti anche gli investimenti (più 4,1% rispetto al 2018), pari a circa 535 milioni”. Le ‘migliori’ 120 aziende, pubbliche e private, che coprono “il 56% dei Comuni italiani servono circa il 70% degli abitanti e raccolgono il 76% dei rifiuti urbani”.