Il rapporto di Laboratorio REF Ricerche sui nuovi indicatori di sostenibilità per le banche
Dal 1° gennaio 2024 le banche europee devono comunicare il loro grado di allineamento alla tassonomia verde UE. Ma il principale tra i nuovi indicatori di sostenibilità delle banche, il Green Asset Ratio (GAR), ha “limitazioni metodologiche” e “complessità” che rendono difficile agli istituti di credito rendicontare in modo preciso e standardizzato la loro esposizione al rischio climatico. Di conseguenza, manca ancora una “visione chiara” degli sforzi compiuti dalle banche per finanziare la transizione ed è complicato effettuare un confronto tra banche.
Il GAR come opportunità e obbligo
Come noto, la tassonomia non interviene impedendo gli investimenti in determinati settori, ma agisce sulla sfera della rendicontazione. Consiste in un elenco di attività ritenute sostenibili, e quindi allineate alla tassonomia verde, che Bruxelles mira a far diventare un punto di riferimento internazionale per gli operatori finanziari nel loro percorso di transizione.
Tra gli strumenti innovativi per il reporting, la normativa europea ha introdotto il Green Asset Ratio. Il GAR non è altro che il rapporto tra attività sostenibili in base alla tassonomia e il totale delle attività coperte nel portafoglio delle banche e riguarda i prestiti e gli anticipi, i titoli di debito, le partecipazioni e le garanzie reali recuperate. Da un lato, il GAR è uno strumento di gestione del rischio che fornisce alle autorità di supervisione un quadro più chiaro sull’esposizione ai rischi – soprattutto quelli di transizione – legati alla crisi climatica. Ma è anche “uno strumento strategico a disposizione delle banche”, che incentiva l’offerta di condizioni migliori alle aziende più sostenibili e orienta le scelte di investitori e clienti, innescando un circolo virtuoso.
Indicatori di sostenibilità delle banche, i limiti del GAR
Per com’è modellato oggi, tuttavia, il GAR ha delle limitazioni evidenti. Le mette in luce un rapporto di Laboratorio REF Ricerche pubblicato di recente. Lo strumento discende dalla tassonomia, e quindi non copre ancora tutti i settori economici. Mancano cioè riferimenti per una parte importante dell’economia, soprattutto nel settore pubblico dal momento che “sono inclusi solo i prestiti che finanziano progetti di edilizia residenziale pubblica”.
Una copertura ancora più limitata se si considera che non riguarda tutte le attività presenti nel bilancio degli istituti di credito. Sono esclusi dal calcolo del GAR i titoli sovrani, gran parte delle esposizioni del settore pubblico, le esposizioni volatili e quelle a breve termine. “Grandi assenti” sono le esposizioni verso le imprese che per legge non devono pubblicare la dichiarazione non finanziaria, anche se in parte la direttiva CSRD dal 2025 estenderà questo obbligo a una platea maggiore di PMI rimediando in parte al gap.
Sul fronte della metodologia, ci sono elementi che falsano la comparabilità degli indicatori di sostenibilità tra banche. Il denominatore e il numeratore del GAR non includono gli stessi tipi di società non finanziarie, per cui “una banca potrà avere un GAR più elevato rispetto a un’altra solamente perché possiede nel suo bilancio più esposizioni verso imprese soggette alla NFRD”. Altro aspetto certamente non secondario è la mancanza di un perimetro chiaro delle attività che devono rientrare nella rendicontazione: la scelta è lasciata alla discrezionalità dei singoli istituti. Inoltre, le aziende non soggette a obblighi di disclosure solitamente non raccolgono dati quantitativi sugli indicatori di sostenibilità e possono fornire solo delle stime, aumentando i margini di incertezza nelle disclosure delle banche.