Un’analisi dell’Osservatorio Climate Finance della School of Management del Politecnico di Milano mostra come le strategia di sostenibilità aziendale valorizzino le imprese agli occhi dei consumatori
Green market, quanto vale l’attenzione all’ambiente?
(Rinnovabili.it) – Il mercato premia le imprese attente ai propri impatti e penalizza quelle responsabili di danni ambientali. A sostenerlo è una nuova analisi dell’Osservatorio Climate Finance della School of Management del Politecnico di Milano, presentata ieri nel corso del convegno “Climate change: la risposta dei mercati finanziari”.
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L’attenzione agli impatti ambientali da parte delle imprese non è più una questione di branding o di responsabilità etica ma è diventata ormai un elemento economico strategico. Assistiamo sempre di più a un fenomeno per il quale il mercato premia le aziende virtuose, mentre tende a penalizzare, sia rispetto al prezzo delle azioni, sia rispetto al valore stesso dell’impresa, quelle che non lo sono. Il valore di un’impresa che non tiene conto degli impatti ambientali delle proprie attività può infatti ridursi fino a -5,6%.
L’indagine dell’Osservatorio ha analizzato le reazioni del mercato di fronte all’aumento del prezzo delle certificazioni ETS – il meccanismo cioè che impone un costo, mediante l’acquisto di certificati, a chi utilizza fonti energetiche inquinanti o produce determinate quote di emissioni.
“Considerando quasi 12.000 impianti di generazione di energia elettrica in Europa, relativi a imprese quotate e sottoposte a questa politica di scambio di emissioni (policy ETS) – ha spiegato Vincenzo Butticè, vicedirettore dell’Osservatorio -, si nota una forte correlazione tra il prezzo dei Certificati ETS e il rendimento di mercato, in base alla carbon intensity della società: solo quelle che hanno un’impronta carbonica limitata, e dunque hanno investito in tecnologie verdi, beneficiano dell’aumento dei prezzi dei Certificati ETS; al contrario, chi inquina è fortemente penalizzato”.
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Il dato si ripete anche rispetto alle percezioni dei consumatori. “Quello che si evince – ha continuato Butticè – è che la riduzione di una ‘tacca’ nel rating reputazionale può comportare una riduzione del valore dell’impresa fino a -5,6%: le imprese virtuose, nel momento in cui si rendono responsabili di un incidente che comporta danni ambientali, vengono penalizzate dal mercato in maniera più consistente rispetto a quelle che non lo sono”. L’indagine ha analizzato 700 società situate in Italia, Francia, Regno Unito e Germania, tutte quotate, che tra 2020 e 2021 hanno presentato le proprie analisi sul rischio reputazionale.
Il report suggerisce dunque che anche i consumatori hanno un importante ruolo a sollecitare le imprese rispetto ai propri impatti, ambientali e non, per quanto riguarda ad esempio le re-internalizzazioni delle multinazionali che hanno spostato parte delle proprie attività in paesi con politiche ambientali meno vincolanti o costi più bassi. “La spinta alla mitigazione del cambiamento climatico influenza le strategie di reshoring e la composizione delle catene del valore globali – ha confermato Roberto Bianchini, direttore dell’Osservatorio -. Abbiamo analizzato 126 multinazionali nel settore manifatturiero che avevano spostato le attività produttive all’estero. Ebbene, quelle che pubblicano un report di sostenibilità e sono originarie di Stati con politiche ambientali stringenti, e che dunque sono sottoposte al giudizio di stakeholders molto attenti al tema della sostenibilità, hanno una probabilità di rientrare nel Paese d’origine del 64% contro l’1,5% di media”.