Rinnovabili • Finanziamenti alle fossili: Italia investe 15 volte più che in rinnovabili Rinnovabili • Finanziamenti alle fossili: Italia investe 15 volte più che in rinnovabili

L’Italia ha infranto tutti gli impegni sui finanziamenti alle fossili

Un rapporto di Oil Change International e Friends of the Earth fa il punto sulla finanza pubblica internazionale ai combustibili fossili. Anche se negli ultimi 7 anni i volumi sono calati del 30% la frenata è ancora troppo lenta. L’Italia è nel gruppo dei peggiori fra i paesi G20. E ha disatteso tutti gli impegni presi negli ultimi anni in sede internazionale

Finanziamenti alle fossili: Italia investe 15 volte più che in rinnovabili
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Nel 2020-22, Roma ha sborsato 2,5 mld $ l’anno in finanziamenti alle fossili all’estero

Tra i paesi del G20, l’Italia è ancora il 5° maggior finanziatore di gas e petrolio, subito dietro la Cina. Tra il 2020 e il 2022, in media, ha sborsato 2,5 miliardi di dollari l’anno per sostenere progetti all’estero. Peggio di Roma sui finanziamenti alle fossili fanno solo Canada (10,9 mld), Corea (9,9 mld), Giappone (6,9 mld) e Cina (4 mld). Il Belpaese è più generoso con le fossili degli Stati Uniti, che si fermano a 2,2 mld, e di un paese europeo anch’esso con forte dipendenza dal gas come la Germania (2 mld). Lo ha calcolato un rapporto di Oil Change International e Friends of the Earth, pubblicato oggi e realizzato in collaborazione con altre 23 associazioni tra cui l’italiana Recommon.

I finanziamenti alle fossili sono in calo

A livello globale la tendenza va nella direzione giusta: i finanziamenti alle fossili sono in calo. Tra il 2017 e il 2019 le prime 20 economie mondiali e le banche multilaterali da esse finanziate hanno elargito in media 68 miliardi di dollari l’anno. Nei tre anni fra il 2020 e il 2022 questa cifra è scesa del 30% arrivando a 47 mld $. “Tuttavia, questi progressi potrebbe essere minacciati se Stati Uniti, Germania, Italia e Giappone continuano a non mantenere le loro promesse finanziando i combustibili fossili”, sottolinea il rapporto.

La flessione indica che gli accordi presi in sede internazionale – al G20 come al G7 – stanno funzionando. Anche se la traiettoria scende ancora troppo lentamente per assicurare l’abbandono graduale delle fossili in tempi ragionevoli e compatibili con un livello di riscaldamento globale non oltre gli 1,5 gradi. Secondo la rotta tracciata dall’Agenzia internazionale dell’energia (IEA) nel 2021, da quella data non avrebbe dovuto essere finanziato e messo in funzione nessun nuovo progetto fossile. È successo l’opposto. E se ai finanziamenti alle fossili si sommano anche i sussidi diretti e indiretti, i paesi del G20 hanno elargito ogni anno, tra 2020 e 2022, qualcosa come 846 mld $ a gas, carbone e petrolio.

Molti dei maggiori sostenitori dei combustibili fossili sono paesi che più di tutti hanno responsabilità storiche nella crisi climatica di oggi. Oltre a non adottare politiche in linea con la loro “fair share”, continuano a finanziare progetti all’estero, soprattutto in paesi sottosviluppati, ancorando le economie locali ancora di più agli idrocarburi. Tutto questo mentre i loro contributi ai fondi internazionali destinati a questi stessi paesi, più vulnerabili alla crisi climatica, sono risibili.

Il rapporto mette dei numeri a questa sproporzione: i paesi del Nord Globale nel triennio 2020-22 hanno investito 58 volte più risorse nelle fossili che nel fondo Loss and Damage, il principale veicolo per evitare che il cambiamento climatico affossi i paesi più fragili.

I brutti record dell’Italia

Un fondo, quello annunciato alla Cop28 di Dubai, in cui l’Italia, insieme a Canada, Giappone, Germania, Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, ha versato solo spiccioli. In tutto, i paesi del G7 hanno sborsato appena 414 milioni di dollari. Secondo l’agenzia ONU per il cambiamento climatico, servirebbero almeno 2.400 mld $ l’anno entro il 2030.

Ma questo non è l’unico fronte su cui il Belpaese viene meno ai suoi impegni. Ha disatteso anche quelli presi entrando nella Clean Energy Transition Partnership (CETP) alla Cop26 di Glasgow. Nel 2021 Roma si era impegnata a porre fine a tutti i finanziamenti pubblici internazionali diretti per i combustibili fossili (senza tecnologie di abbattimento delle emissioni) entro la fine del 2022, e a dare invece priorità ai finanziamenti pubblici internazionali per la transizione verso l’energia pulita. Ma ancora oggi l’Italia investe pochissimo in rinnovabili rispetto al volume garantito alle fossili: 175 mln $, quasi 15 volte di meno. E anche se si è dotata di un piano ufficiale per il phase out, è pieno di scappatoie per il gas.

Poi c’è il capitolo delle agenzie per il supporto al credito per l’export. Qui Roma è tra i paesi più attivi nei finanziamenti alle fossili. Solo nel 2023, attraverso SACE, ha convogliato in progetti su gas e petrolchimico 4,95 mld $, e nel corso del 2024 “probabilmente approverà centinaia di milioni per progetti di combustibili fossili in Vietnam, Brasile e Mozambico”.

“Non mancano i soldi pubblici disponibili per finanziare le soluzioni di cui abbiamo bisogno per transizioni giuste ed eque a livello globale che forniscano a tutti un accesso equo all’energia pulita”, sottolinea ancora il rapporto. La finanza pubblica non è scarsa, è solo mal distribuita. Si sta dirigendo verso i combustibili fossili nonostante la scienza abbia chiarito che lo sviluppo di nuovi combustibili fossili è incompatibile con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5 gradi”.

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About Author / Lorenzo Marinone

Scrive per Rinnovabili dal 2016 ed è responsabile della sezione Clima & Ambiente. Si occupa in particolare di politiche per la transizione ecologica a livello nazionale, europeo e internazionale e di scienza del clima. Segue anche i temi legati allo sviluppo della mobilità sostenibile. In precedenza si è occupato di questi temi anche per altri siti online e riviste italiane.