Due terzi dei dirigenti delle principali banche al mondo hanno interessi o collegamenti con settori ad alta intensità di carbonio. Uno su 20 ha interessi nell’estrazione del carbone
L’analisi di DeSmog sugli ostacoli per la finanza sostenibile
(Rinnovabili.it) – Sulla strada della finanza sostenibile spunta la pietra d’inciampo del conflitto d’interesse. La maggior parte dei dirigenti di più grandi istituti di credito al mondo hanno collegamenti ‘scomodi’ con aziende altamente inquinanti o compagnie fossili. Un possibile ostacolo alla corsa verso investimenti più attenti al clima che sta coinvolgendo i principali attori della finanza globale in questi mesi.
L’allarme arriva da un’inchiesta di DeSmog. I suoi analisti hanno passato al setaccio le principali banche mondiali e le affiliazioni dei loro vertici. Risultato? Due terzi dei dirigenti delle 39 banche più importanti hanno connessioni con le fossili o con aziende ad alta intensità di carbonio. Dei 565 profili scrutinati, ben 368 sono ‘climate conflicted’, cioè presentano dei conflitti d’interesse con politiche climatiche ambiziose.
Leggi anche Il colosso degli investimenti Blackrock fa sul serio sulla finanza sostenibile
A quali settori sono legati e cosa fanno esattamente i dirigenti per queste compagnie? Il panorama è piuttosto vario. Tra i settori ad alto tenore di carbonio figura quello energetico dove hanno interessi il 16% dei dirigenti, seguito da “aviazione, estrazione mineraria, manifatturiero, banche e società di investimento note per supportare l’industria dei combustibili fossili”. Quanto alle posizioni, DeSmog rileva che si va “da ruoli di amministratore e consulente, all’impiego presso le società e ad associazioni o affiliazioni di associazioni di categoria o di think tank” noti per aver supportato campagne contro il contrasto del cambiamento climatico.
L’analisi di DeSmog ha rilevato che il 15% degli amministratori ha lavorato con aziende identificate dall’iniziativa Climate Action 100+ come alcuni dei peggiori inquinatori del mondo. E 1 su 20 ha legami con aziende che finanziano l’estrazione del carbone. Ancora: più di un dirigente su cinque (il 28%) ha lavorato in altre banche note per supportare l’estrazione di combustibili fossili.
Leggi anche Finanza sostenibile, la strategia UE per evitare la bolla verde
Secondo Adam McGibbon di Market Forces, un gruppo che si batte per prevenire gli investimenti in progetti dannosi per l’ambiente, “le istituzioni finanziarie sono fondamentali per guidare la transizione verso l’energia pulita, quindi è terrificante che le opinioni dei loro amministratori siano state plasmate dall’industria dei combustibili fossili. Come possono le banche ragionevolmente affermare di sostenere l’Accordo di Parigi quando i loro amministratori sono collegati a un settore con un interesse acquisito nel fallimento dell’Accordo di Parigi?”.