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Cavilli e scappatoie, le banche europee fanno carte false sulla finanza sostenibile

Finanza sostenibile: le banche europee sono indietro
Foto di Nattanan Kanchanaprat da Pixabay

Il rapporto di ShareAction sulla finanza sostenibile nel settore bancario europeo

(Rinnovabili.it) – Nelle banche europee la sostenibilità non è di casa. Dei 25 istituti di credito principali del continente, ben 20 hanno annunciato di voler raggiungere la neutralità climatica al più tardi nel 2050. Ma al di là dell’annuncio c’è poco altro. I piani per una finanza sostenibile restano troppo vaghi e incerti sia nei tempi che nelle modalità.

Lo sostiene un dossier di ShareAction, ong che monitora gli investimenti sostenibili e ha fatto le pulci alle banche europee prendendo in considerazione 8 fattori diversi, tutti relativi alla tutela del clima e della biodiversità. Oltre all’allineamento delle policy della banca con l’obiettivo della neutralità di carbonio, l’analisi include il grado di trasparenza sugli investimenti high-carbon, le policy su comparti specifici come carbone, petrolio e gas, trasporto marittimo e biomassa, e anche quanto sono pagati i dirigenti.

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Cosa emerge dal quadro dipinto da ShareAction? Non c’è nessun campione a tutto tondo di finanza sostenibile, anche se alcuni istituti primeggiano in settori specifici. Le policy sul clima sono uno spaccato della situazione generale. Solo tre banche su 25 (Lloyds Banking Group, NatWest e Nordea) hanno sottoscritto l’impegno di dimezzare le emissioni che originano dai loro investimenti entro il 2030, quindi mettendo in campo un’azione piuttosto tempestiva. Sono 8 gli istituti che hanno fissato degli obiettivi intermedi sulla decarbonizzazione, ma solo 3 di questi fanno i conti giusti: ad esempio calcolando i tagli sui valori assoluti delle emissioni e mettendo nel conto tutti gli investimenti davvero rilevanti.

Anche sul carbone la finanza sostenibile europea è abbastanza sporca. Meno di metà delle banche considerate hanno preso un impegno sul phase out di questa fonte fossile. Ma spesso le loro policy in merito sono vaghe e cavillose e fanno rientrare dalla finestra gli investimenti messi alla porta. Sulle fossili in generale le italiane si piazzano tra le migliori. Il dossier loda Intesa San Paolo e Unicredit per il phase out dell’esposizione alle fonti non convenzionali (dalle sabbie bituminose allo shale) e la riduzione dei finanziamenti. Malissimo sul fronte biodiversità. Solo una minoranza delle banche prevede di non investire in attività che possono danneggiare certi ecosistemi.

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“Nessuna banca mostra buone pratiche su tutti i fattori”, conclude Xavier Lerin, autore del dossier. “Perciò c’è una quantità enorme di sforzo che tutte le banche possono fare in questo momento per affrontare i loro impatti ambientali e li invitiamo a pubblicare strategie credibili per il clima e la biodiversità prima della COP26″.

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