Rinnovabili

Cassa Depositi e Prestiti, 3 euro su 4 finiscono in finanza fossile

Finanza fossile: è il 78% degli investimenti esteri di CDP
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Il rapporto commissionato da Action Aid sul ruolo di CDP nella finanza fossile

Il portafoglio di investimenti e le policy di Cassa Depositi e Prestiti (CDP) non sono assolutamente allineati con l’Accordo di Parigi. Se la principale istituzione finanziaria italiana a controllo pubblico fa i compiti a casa, all’estero si comporta in modo ben diverso. Come? Canalizzando molte risorse nella finanza fossile. C’è un “divario” tra le “ambizioni di sostenibilità” a livello nazionale e i flussi di investimenti internazionali “dominati dai combustibili fossili”. È la fotografia che emerge da un rapporto di Perspectives Climate Research e commissionato da Action Aid. Pubblicato il 12 giugno alla vigilia del G7 Borgo Egnazia, dà uno spaccato del ruolo che gioca realmente l’Italia sul piano della finanza climatica.

Il 78% degli investimenti esteri di CDP è finanza fossile

Uno dei dati che spicca di più è il rapporto tra le risorse mobilitate per la finanza fossile e quelle dedicate all’energia pulita. Tra il 2016 e il 2022, CDP ha realizzato investimenti all’estero per circa 2 miliardi di euro. Quasi il 78% è finito ai combustibili fossili e solo poco meno del 15% a rinnovabili (incluso l’idroelettrico) ed efficienza energetica. Guardando più da vicino i dati emerge un cambio di rotta intorno al 2020. Da quell’anno gli investimenti in energia pulita sono cresciuti più di sei volte, da 25 a 155 milioni di euro. Restano, però cifre estremamente basse. Al contrario, quando si tratta di investimenti in Italia, CDP dà priorità a soluzioni e progetti sostenibili. Dei 957 milioni di euro mobilitati dal 2016, quasi il 73% è stato destinato all’energia pulita e poco più del 10% alle fossili.

Sul versante delle policy, il colosso pubblico italiano raggranella punteggi decisamente bassi su tutti i fronti. CDP non finanzia progetti sul carbone da anni e ha integrato una policy di esclusione specifica nella sua politica energetica. Ma questo è, sostanzialmente, l’unica nota positiva. Mancano policy per l’esclusione completa delle fonti fossili dal portafoglio e, anzi, lasciano più di uno spiraglio a gas e petrolio.

“Le linee guida e le politiche chiave, come quella sulla transizione energetica e il Green, Social and Sustainability Bond Framework tengono la porta spalancata per continui investimenti nel gas fossile, inquadrandola come un combustibile per la “transizione pulita””, si legge nel rapporto. Manca poi un cambio di passo richiesto dagli impegni internazionali assunti dall’Italia negli ultimi anni. Alla Cop26, nel 2021, Roma è entrata nella Clean Energy Transition Partnership promettendo di ridurre il supporto pubblico alle fossili ‘unabated’, ovvero senza recupero di CO2. Ma CDP “non ha presentato un piano chiaro su come attuare” questo impegno, aggiungono gli autori. Manca poi trasparenza e un vero impegno a 360 gradi, visto che CDP riporta solo le emissioni di Scope 1 e 2, ma non rivela nulla sulle emissioni finanziate (Scope 3). Che, per questa tipologia di attori, di solito rappresenta la fetta più grande, oltre il 90% delle emissioni totali.

“In quanto membro del G7 e del G20, l’Italia dovrebbe dare l’esempio ed espandere i propri investimenti in energia pulita invece di trasformare l’Italia in un “hub energetico” basato sul gas e utilizzare il Fondo italiano per il clima (4,4 miliardi di euro) per investire nell’estrazione di gas in Africa. Ad oggi, invece, il nostro paese è il sesto tra i paesi del G20, prima di USA e Germania e dopo Canada, Corea del Sud Giappone, Cina ed India, per sovvenzioni pubbliche ai combustibili fossili”, commenta Action Aid. 

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