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Stati Uniti e Giappone sono i più grandi fan della finanza fossile

Finanza fossile: così Stati e banche tengono a galla il carbone
Foto di CapeCom da Pixabay

I dati di uno studio sulla finanza fossile condotto da Urgewald e altre 28 Ong

(Rinnovabili.it) – Mille miliardi di dollari. E’ l’esposizione delle banche commerciali e degli investitori nei confronti dell’industria del carbone. A 5 anni dall’accordo di Parigi, e con il moltiplicarsi dei piani per la neutralità climatica annunciati da aziende di tutto il mondo, la finanza fossile si conferma ancora una volta uno dei freni più potenti al contrasto del cambiamento climatico. E l’Italia? E’ seduta dalla parte dei virtuosi.

Lo afferma lo studio di Urgewald, Re:Common e altre 27 Ong internazionali che esamina i flussi finanziari destinati alle 934 società del settore del carbone riunite nella Global Coal Exit List. La ricerca aggiorna un precedente lavoro pubblicato a aprile 2020 e include dati fino a gennaio di quest’anno. E’ l’analisi più completa e dettagliata mai prodotta sulla finanza fossile.

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“Questa è la prima volta che qualcuno tenta di analizzare l’esposizione delle banche commerciali e degli investitori istituzionali verso l’intera industria del carbone. Negli anni passati, l’ambito della nostra ricerca finanziaria era limitato a circa 200 sviluppatori di centrali a carbone. La nostra nuova ricerca, invece, analizza i flussi finanziari verso tutte le 934 società incluse nella Global Coal Exit List”, spiega Katrin Ganswindt, responsabile della ricerca finanziaria presso Urgewald.

A gennaio 2021 erano ancora quasi 4.500 gli investitori istituzionali con interessi in qualche segmento della catena del valore del carbone. I primi due della lista pesano per il 17% del volume di investimenti totale: sono Vanguard e BlackRock, rispettivamente esposti per 86 e 84 mld di dollari. E gli Stati Uniti guidano la classifica dei paesi più compromessi con il carbone. Il 58% degli investimenti da attori istituzionali arriva da Washington: qualcosa come 600 mld di dollari.

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Ma ci sono anche le banche, tra le più attive sostenitrici della finanza fossile. La ricerca di Urgewald ha individuato 381 istituti bancari da cui è partito un flusso di 315 mld di dollari verso chi compone la catena di valore del carbone negli ultimi 2 anni. In testa, qui, non gli americani ma i giapponesi con Mizuho, Sumitomo Mitsui Banking Corporation e Mitsubishi UFJ Financial Group.

“Le politiche sul carbone adottate dalle banche giapponesi sono tra le più deboli al mondo. Coprono solo una piccola parte dei prestiti delle banche e non escludono prestiti aziendali o sottoscrizioni per società che stanno ancora costruendo nuove centrali a carbone in Giappone, Vietnam, Filippine e altrove”, spiega Eri Watanabe di 350.org Japan, tra gli autori dello studio.

In controtendenza sulla finanza fossile, invece, gli attori italiani. L’esposizione al carbone di UniCredit, Assicurazioni Generali e Intesa Sanpaolo scende rispetto al picco del 2019. UniCredit ha un piano per disinvestire del tutto dal carbone entro il 2028, Generali ha preso impegni in materia nel 2018 ma ha ancora 200 mln di dollari di investimenti nel suo portafogli. Intesa Sanpaolo la più virtuosa tra i player più esposti: i dati dicono che il disinvestimento ha galoppato, con un -70%.

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