Compagnie fossili e banche utilizzano in modo massiccio degli schemi che rendono opachi i flussi di denaro. L’obiettivo? Aggirare le politiche di esclusione sulle fossili e gli obblighi di sostenibilità
Oltre 4.500 miliardi “mascherati” di finanza fossile
Il 68% della finanza fossile garantita dalle 60 maggiori banche al mondo viene fatta passare attraverso dei paradisi fiscali che rendono i flussi di denaro più opachi e difficili da tracciare. È una scelta deliberata da parte degli istituti di credito e delle compagnie fossili. L’obiettivo? Continuare a operare come se gli sforzi per contrastare la crisi climatica, anche in ambito finanziario, non esistessero.
Lo afferma uno studio del think tank Tax Justice Network. Il rapporto passa al vaglio 6.900 miliardi di dollari di finanza fossile, garantiti dai 60 maggiori istituti di credito mondiali a società legate ai combustibili fossili. Il periodo analizzato va dal 2016 – quando è entrato in vigore l’Accordo di Parigi – al 2023 e vengono considerati prestiti, linee di credito e obbligazioni.
Le “giurisdizioni segrete” e chi ci guadagna
Queste risorse sono “strategicamente incanalate” attraverso questa sorta di paradisi fiscali, che il rapporto soprannomina “giurisdizioni segrete”. Di cosa si tratta? Sono luoghi “specializzati nella segretezza finanziaria”, le cui regole finanziarie consentono alle aziende di rendere molto opache le proprie attività. E soprattutto le strutture proprietarie.
In questi paradisi, infatti, vengono appositamente create delle sussidiarie delle grandi compagnie legate alle fossili. Che riescono così a ricevere centinaia di miliardi di dollari proteggendosi dal pubblico scrutinio. Risorse che vengono poi mosse dalla sussidiaria verso attività della compagnia localizzate altrove. Se il percorso del denaro segue più passaggi di questo tipo, si riesce di fatto a mettere in piedi una stanza degli specchi che rende complicatissimo risalire all’origine dei flussi finanziari.
“Garantire l’accuratezza della rendicontazione sulla sostenibilità delle banche, nonché la loro aderenza alle politiche di esclusione e alle misure normative, in particolare quelle incentrate sulla trasparenza nella finanza sostenibile, diventa sempre più difficile”, avverte il rapporto.
La prassi è più che consolidata e poggia, lato banche, sulla vaghezza con cui sono formulate le politiche di restrizione dell’accesso alle linee di credito. Dall’analisi delle politiche in vigore nelle 6 maggiori banche, il rapporto chiarisce che soltanto una “considera esplicitamente le attività di tutte le sussidiarie all’interno di un gruppo aziendale”.