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Finanza climatica, cosa può fare l’UE alla Cop29 di Baku?

Finanza climatica: l’UE preferisce i prestiti e fa crescere il debito
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L’Italia eroga 7 volte meno finanza climatica della Germania a parità di reddito nazionale lordo

L’Europa continua a distribuire le risorse per la finanza climatica soprattutto sotto forma di prestiti invece di sovvenzioni a fondo perduto. Anche se il volume totale di denaro mobilitato è in forte crescita e fa dell’UE il primo donatore mondiale, queste modalità di erogazione accumulano debito sulle casse dei paesi più vulnerabili alla crisi climatica.

Lo sottolinea un rapporto di Climate Action Network, che ricostruisce i flussi di risorse – operazione complessa perché manca una definizione condivisa a livello internazionale di cosa conta come finanza climatica –, analizza i punti deboli del climate financing emersi negli ultimi 15 anni, e suggerisce come costruire il nuovo quadro per la finanza climatica post 2025 che è al centro dei negoziati della Cop29 di quest’anno.

Troppi prestiti e poche sovvenzioni

Nel 2022, ultimo anno per cui sono disponibili dati consolidati, l’ammontare complessivo della finanza climatica europea è arrivato a 28,9 miliardi di euro, circa 1/3 del totale mobilitato a livello mondiale. Di questa cifra, 21,9 mld provengono direttamente dagli stati membri, 4 mld dal budget comune dell’UE, e 2,9 mld dalla Banca europea degli investimenti (Bei).

Ma il 52% di tutti questi finanziamenti per il clima è stato erogato tramite strumenti diversi dalle sovvenzioni. Considerando solo la quota fornita dagli stati, la più corposa, i prestiti superano la metà del totale (51%). Solo il 45% è stato concesso sotto forma di sovvenzioni, mentre capitale proprio, garanzie e altri strumenti costituiscono il restante 4%. Percentuali in linea con quelle degli anni precedenti. Al contrario, budget UE e Bei hanno progressivamente aumentato la quota di sovvenzioni, anche se non mancano altri nei. La Bei, ad esempio, eroga sempre meno prestiti agevolati, passati dal 19% del 2017 ad appena il 2% nel 2021.

Ci sono poi differenze notevoli nei contributi forniti dai diversi paesi UE. La Germania è la più “generosa”: ha mobilitato per la finanza climatica risorse pari allo 0,151% del reddito nazionale lordo. Circa 7 volte di più di quelle messe a disposizione dall’Italia. Portogallo e Grecia si limitano a fornire lo 0,002 e 0,001% del Rnl, mentre Bulgaria, Croazia e Cipro non hanno erogato nemmeno un euro nel 2022.

Una parte sempre più importante della finanza per il clima è quella mobilitata dal settore privato. Tra 2021 e 2022 quella europea è triplicata. Ma meno del 4% delle risorse è stato destinato a chi ne ha più bisogno, cioè i paesi meno sviluppati (LDC) e quelli a medio-basso reddito (LMIC). Inoltre, solo l’1% del denaro finisce in progetti per l’adattamento – di cui i paesi destinatari hanno più urgentemente bisogno – mentre il 70% va sotto il capitolo mitigazione. Se si considera l’intero ammontare mobilitato dall’Europa, la quota per l’adattamento si ferma comunque al 37%, quella diretta ai paesi meno sviluppati al 18% (di cui solo 2/3 per adattamento).

Come evitare gli errori del passato nel nuovo quadro di finanza climatica post-2025?

Per CAN, la priorità dell’UE dovrebbe essere la creazione di un sistema più rigido per l’erogazione della finanza climatica. Dopo l’accordo che sarà raggiunto alla Cop29 di Baku, Bruxelles dovrebbe stendere un piano dettagliato, con obiettivi intermedi, che copra almeno fino al 2027, il termine della pianificazione del budget UE attuale. E possibilmente fino al 2030, in modo da coprire i primi 5 anni del nuovo target globale post-2025. Mobilitando davvero risorse aggiuntive, e non saccheggiando i fondi per lo sviluppo esistenti.

Secondo punto, dare priorità alle sovvenzioni invece che ai prestiti, “considerata l’escalation della crisi del debito e il crescente impatto del cambiamento climatico”, soprattutto “nel campo dell’adattamento”. Un orientamento che l’UE dovrebbe portare ai negoziati di Baku, inserendo nel nuovo target post-2025 un obiettivo specifico per la finanza pubblica destinata all’adattamento.

Per superare l’intrico di definizioni, poca trasparenza, doppi conteggi nella finanza climatica attuale, il rapporto suggerisce all’UE di lavorare a livello internazionale per creare un quadro più chiaro, e collaborare con i paesi più vulnerabili per creare un sistema di monitoraggio del climate financing che assicuri più trasparenza.

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