Una nuova stima fornita dal Comitato permanente sulla finanza dell’Unfccc presenta un ammontare annuo di risorse finanziarie per i paesi in via di sviluppo 5 volte più basso delle stime formulate finora
Alla COP29 di Baku si deciderà l’ammontare della finanza climatica post 2025
Appena 500 miliardi di dollari l’anno. Metà della già timida proposta formulata a giugno dall’India, cioè 1.000 mld l’anno. E quasi 5 volte di meno della soglia minima ipotizzata da Simon Stiell, il segretario esecutivo della Convenzione Quadro dell’Onu sul Cambiamento Climatico (Unfccc), più volte nell’ultimo anno, ovvero 2.400 mld $. È la nuova cifra per la finanza climatica post 2025 proposta dallo Standing Committee on Finance delle Nazioni Unite.
Non è un contributo come gli altri. Il Comitato permanente dell’Onu sulla finanza è una delle fonti “ufficiali” i cui pareri contribuiscono a formare la base di partenza per i negoziati. Soprattutto quando, come nel caso del dossier della finanza climatica post 2025, la distanza tra le parti è molto grande e manca una comune base di partenza.
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Come è arrivato l’organo Onu a determinare questa cifra? In realtà è lo stesso Comitato a specificare che non si tratta in alcun modo di un numero che copre davvero tutti i bisogni finanziari legati alla crisi climatica dei paesi in via di sviluppo. È però la stima più concreta che è possibile formulare a partire dalle richieste avanzate da questi paesi.
Il calcolo parte dai bisogni espressi da 98 paesi in via di sviluppo nei loro Contributi Nazionali Volontari (NDC), gli impegni sul clima che ogni paese presenta all’Unfccc. Le 2.753 voci analizzate portano a un ammontare di risorse necessarie compreso tra 5.036 e 6.876 miliardi di dollari cumulativi fino al 2030.
Aggiustando la stima per armonizzare i periodi di riferimento (alcuni NDC li formulavano dal 2015, altri dal 2020), il Comitato permanente sulla finanza dell’Onu arriva a identificare un intervallo di 455-584 miliardi di dollari all’anno, dal 2025 al 2030.
Una stima al ribasso che “non riesce a catturare appieno le realtà finanziarie che i paesi in via di sviluppo devono affrontare”, è la posizione di molti osservatori della società civile. “A causa di lacune nei dati e informazioni disorganizzate, il rapporto presenta cifre che non tengono pienamente conto delle esigenze di tutte le nazioni in via di sviluppo, in particolare per una giusta transizione dai combustibili fossili, che richiede diversificazione economica e la creazione di posti di lavoro verdi a un livello senza precedenti”, afferma ad esempio Harjeet Singh della Fossil Fuel Non-Proliferation Treaty Initiative.