L’Ecofin ha approvato la posizione negoziale dei Ventisette in vista del summit in Azerbaijan al via a novembre. Nessuna proposta sull’ammontare del New Collective Quantified Goal (NCQG) post 2025. Bruxelles: indispensabile aumentare i paesi donatori
Il mese prossimo l’UE si siederà al tavolo della Cop29 di Baku come si era alzata da quello del vertice di Dubai nel 2023: senza quantificare il nuovo obiettivo globale di finanza climatica post 2025 (New Collective Quantified Goal, NCQG). I Ventisette hanno deciso di non scoprire le carte e di arrivare a Baku con una posizione negoziale arroccata sulle richieste già avanzate gli anni scorsi. Un riflesso della diffidenza tra Nord e Sud globale che continua a dominare il dossier più importante del summit sul clima.
Cos’è il nuovo obiettivo collettivo quantificato (NCQG) per la finanza climatica?
Il NCQG è il nuovo obiettivo per i finanziamenti globali per il clima dopo il 2025. Sostituisce il precedente, pattuito nel 2009, che prevedeva che i paesi più ricchi versassero 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2020 e fino al 2025. Questo target è stato raggiunto, anche se con 2 anni di ritardo e a fatica. Nel 2022, la finanza climatica globale ammonterebbe a 115,9 miliardi di dollari secondo le stime OCSE. Non sono ancora disponibili le cifre relative al 2023.
La Cop29 in Azerbaijan deve completare il percorso negoziale avviato nel 2021 sul nuovo obiettivo di finanza climatica che deve guidare l’azione globale dal prossimo anno. Dopo 3 anni di dialogo i passi avanti sono relativamente pochi. A un mese dall’inizio del vertice di Baku manca ancora un’intesa minima su chi deve contribuire, a quanto ammonta l’obiettivo, quale forma (prestiti, sovvenzioni) hanno le risorse mobilitate, e chi è titolato a riceverle.
La posizione dell’UE alla Cop29
L’8 ottobre il Consiglio Economia e Finanza dell’UE ha approvato la posizione negoziale con cui i Ventisette arriveranno alla Cop29. Il documento di 13 pagine ripete punto per punto le richieste principali dell’UE, senza modificare il linguaggio e offrire particolari spiragli alla discussione.
Spiccano 2 punti su tutti. Il primo è un’assenza: manca una proposta sull’ammontare del NCQG (l’Onu ipotizzava 2.400 mld l’anno dal 2030, alcuni paesi in via di sviluppo ne hanno chiesti 1.000). Prima di mettere sul tavolo un numero, l’UE vuole definire gli altri aspetti chiave dell’accordo. Si arriva così al secondo punto: per Bruxelles bisogna allargare la platea dei paesi donatori.
Il NCQG “dovrebbe essere fornito e mobilitato da una base più ampia di contributori, compresi quei paesi che sono in grado di contribuire”, si legge nelle conclusioni dell’Ecofin. Un punto su cui l’UE non vuole negoziare: lo definisce “prerequisito per un NCQG ambizioso”. Il messaggio è chiaro, se volete più risorse non possono essere i soliti noti a sobbarcarsi il peso da soli.
Il documento aggiunge qualche dettaglio ulteriore. L’allargamento dei paesi donatori deve “riflettere l’evoluzione delle rispettive capacità e delle elevate emissioni di gas serra dall’inizio degli anni ’90, e la loro natura dinamica”. A tutt’oggi, nella diplomazia internazionale sul clima, le classificazioni dei paesi in ricchi e in via di sviluppo sono ferme al 1990. Nel frattempo è cambiato tutto, basti pensare alla Cina. Ma anche a molti paesi mediorientali e non, produttori di petrolio. È a questi paesi che l’UE guarda.
Poi l’Ecofin concede 2 punti sollevati dal Sud globale negli anni scorsi. Primo, i paesi sviluppati “dovrebbero continuare a prendere l’iniziativa nella mobilitazione di finanziamenti per il clima”. Secondo, l’UE riconosce che “molti paesi in via di sviluppo stanno già fornendo e mobilitando finanziamenti per il clima, anche attraverso fondi dedicati al clima, banche multilaterali di sviluppo (MDB), istituzioni nazionali di finanziamento dello sviluppo e attraverso la cooperazione Sud-Sud”. È una mano tesa a Pechino che non vuole essere obbligata a contribuire alla finanza climatica e sottolinea che è già impegnata a fornire contributi volontari importanti.