Mancano ancora 20 mld per centrare l’obiettivo globale sulla finanza climatica
(Rinnovabili.it) – L’Italia non è più la cenerentola del G20 sugli aiuti per il clima ai paesi meno sviluppati. Cingolani ha promesso di raddoppiare il contributo nazionale per la finanza climatica. Parlando allo Youth4Climate, la tre giorni sul clima di Milano che ha visto protagonisti 400 giovani da tutto il mondo, il titolare del ministero della Transizione Ecologica ha annunciato che proporrà al governo di portare la quota tricolore a circa 1 miliardo di euro.
Cingolani: “Si potrebbe arrivare a 1 miliardo”
“Attualmente l’Italia dà un contributo di 460 milioni per i paesi sottosviluppati attraverso vari canali”, ha detto Cingolani durante la conferenza stampa conclusiva dello Youth4Climate, dove si è confrontato con i giovani provenienti da quasi 200 paesi e le loro proposte sulla crisi climatica. “Quello che io proporrò, e sarà soggetto a decisione del Governo, è almeno di raddoppiare, si potrebbe arrivare al miliardo”. Flusso di denaro che serve per sostenere misure di mitigazione e adattamento al climate change nei paesi meno sviluppati, che sono anche quelli più a rischio e meno responsabili del riscaldamento globale se si guardano le emissioni storiche.
Il MiTE in Consiglio dei ministri dovrebbe trovare la sponda di Mario Draghi. Il premier in queste settimane ha parlato a più riprese della crisi climatica e dell’urgenza di trovare le misure adatte a contrastare il cambiamento climatico. “Non possiamo semplicemente contare sugli altri: dobbiamo tutti fare la nostra parte”, aveva detto Draghi in un summit USA-UE sulle emissioni di metano il 17 settembre, sottolineando che dobbiamo agire “subito” per evitare “conseguenze catastrofiche”.
Qual è la giusta quota di finanza climatica per l’Italia?
Raddoppia il contributo italiano, ma il Belpaese è ancora sotto la sua “giusta quota”. Lo sa anche Cingolani, che infatti ammette: “Anche se raddoppiamo i fondi attuali non è abbastanza, ma dobbiamo provarci”. Beninteso, Roma non è l’unica a non fare del tutto la sua parte: quasi tutte le economie avanzate danno meno del dovuto. Ma il gap italiano finora è stato notevole e ci ha inchiodati a maglia nera per la finanza climatica tra i paesi del G20.
Come si calcola la “giusta quota”? Bisogna precisare che un modo standard non esiste e nessun paese è vincolato a contribuire con una quota fissa. La finanza climatica ha un obiettivo globale: 100 miliardi di dollari da mobilitare ogni anno, entro il 2020. Decisione presa durante la COP di Copenhagen del 2009 e sempre puntualmente disattesa. Al momento siamo a circa 80 mld l’anno, anche se USA e UE hanno promesso di aprire il portafogli: Washington raddoppia la sua parte fino a 11,4 mld, Bruxelles – il donatore più generoso – passa da 25 a 29 mld.
Per stimare la “fair share” di ciascun paese, un modo è quello di considerare più fattori: il PIL, le emissioni storiche (cumulate nel tempo, dalla rivoluzione industriale a oggi), la popolazione. È il calcolo che propone il think tank ODI. E che condanna l’Italia: la giusta quota per Roma è di 4,09 miliardi di euro, ma finora il contributo è stato quasi 10 volte più basso. E anche portarlo a 1 mld resta ancora poca cosa rispetto al dovuto. E resteremmo comunque lontani da quanto fanno altri grandi paesi europei. “A livello teorico, per l’Italia eguagliare gli impegni di Regno Unito e Germania (aggiustati per il PIL) significherebbe impegnare 1,8 miliardi di euro e 2,1 miliardi di euro l’anno rispettivamente”, calcola il think tank italiano ECCØ.
Gli aiuti per il clima al centro della COP26
Catalizzare l’aumento dei fondi per la finanza climatica è un punto chiave del vertice mondiale sul clima che si terrà in Scozia nella prima decade di novembre. Se quota 100 resta lontana diventa difficile convincere i paesi in via di sviluppo a prendere impegni più gravosi. Il tema è la responsabilità storica: il sud del mondo non vuole pagare lo stesso prezzo dei paesi più sviluppati che hanno contribuito per una fetta maggiore al cambiamento climatico di oggi. Si temono danni all’economia e disordini sociali.
Qui entrano in gioco gli aiuti per il clima: per i paesi avanzati è un modo per tutelare i paesi più vulnerabili, accelerarne la transizione favorendo la condivisione di know-how e tecnologie, ma anche per assumersi la responsabilità delle emissioni storiche. Non è solo una questione di verità storica, è un punto ben più concreto. Senza mettere sul tavolo della diplomazia fondi sufficienti per la transizione, è difficile convincere alcuni dei più grandi inquinatori globali come India, Indonesia, Brasile, Sudafrica, solo per citarne alcuni, ad accelerare la transizione. A partire da temi caldissimi come lo stop al carbone.
lm