Alla COP27, uno dei dossier più importanti sarà proprio la finanza climatica
(Rinnovabili.it) – 83,3 miliardi di dollari. È la cifra effettivamente sborsata dai paesi ricchi nel 2020 in finanza climatica, depurata dalle cifre solo promesse. E ancora ben lontana dall’obiettivo dei 100 miliardi che era stato fissato nel 2009. Lo certifica l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), che sottolinea: “Bisogna fare di più”.
Il fallimento dei target 2020 sulla finanza climatica non è una novità. Già alla COP26 di Glasgow, lo scorso novembre, si era sancito il gap tra promesse e denaro versato. Ogni tentativo di colmarlo proprio nei giorni del vertice sul clima era andato a vuoto. Sommando tutte le promesse non si era andati oltre i 90-95 miliardi. Anche l’Italia aveva moltiplicato gli sforzi, aumentando la sua quota da 460 milioni a 1 miliardo l’anno.
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Ora, tutti gli occhi sono sulla COP27 di Sharm el-Sheikh. All’appuntamento in Egitto non ci saranno più scuse. I paesi ricchi, l’anno scorso, hanno promesso di raggiungere la fatidica quota 100 entro il 2023. Ma il dato diramato dall’Ocse servirà anche ai delegati per fare il punto su come impostare il sostegno alla transizione e all’adattamento dei paesi più poveri e vulnerabili al climate change. Il tema della finanza climatica si intreccia con quello delle perdite e i danni (Loss & Damage), uno dei dossier più caldi sul tavolo della COP27.
“I Paesi sviluppati devono continuare a intensificare gli sforzi in linea con gli impegni dichiarati in vista della COP26, il che significherebbe raggiungere l’obiettivo dei 100 miliardi di dollari a partire dal prossimo anno. Questo è fondamentale per costruire la fiducia mentre continuiamo ad approfondire la nostra risposta multilaterale al cambiamento climatico”, segnala l’Ocse.
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Che nel suo rapporto mette in luce altre storture della finanza climatica su cui si dibatterà ancora una volta a Sharm el-Sheikh. Il grosso dei finanziamenti per il clima, infatti, sono ancora nell’ambito delle misure di mitigazione (a cui sono più interessati i paesi ricchi) invece che in quelle di adattamento al climate change (più urgente per i paesi riceventi). Inoltre, una fetta preponderante consiste in prestiti.