Rinnovabili • Finanza climatica: accordo lontano alla COP26 di Glasgow

COP26, la finanza climatica fa litigare tutti

Non c’è intesa praticamente su nulla. I paesi in via di sviluppo chiedono 1.300 mld di dollari l’anno entro il 2030, bilanciamento tra fondi per l’adattamento e fondi per la mitigazione, e una discussione seria sui Loss & damage. L’altro lato del tavolo temporeggia

Finanza climatica: accordo lontano alla COP26 di Glasgow
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Le economie avanzate non vogliono prendere impegni sulla finanza climatica fino al 2024

(Rinnovabili.it) – Da possibile pietra d’inciampo a vero elefante nella stanza in una settimana. La finanza climatica spacca i negoziati e può davvero far naufragare la COP26, anche se la regia inglese a Glasgow si sta rivelando molto abile a mettere in risalto solo le notizie più favorevoli. Ma è sempre più difficile contenere la frustrazione dei delegati di quei paesi che subiscono di più l’impatto del cambiamento climatico.

Chi vuole cosa sulla finanza climatica

Ieri il vertice sul clima ha parlato tutto il giorno di finanza climatica ma non ha concluso nulla. Manca un’intesa sui punti più importanti, ma soprattutto l’impressione è che la distanza tra le posizioni non si stia accorciando. I “pontieri” hanno fatto gli straordinari, senza molto successo. Il nodo più intricato sono i nuovi impegni per il post 2025.

Da un lato della barricata i paesi in via di sviluppo. Ieri l’African Group of Negotiators ha chiesto che dal 2025 in poi i paesi ricchi mobilitino 1.300 miliardi di dollari l’anno entro il 2030. La cornice in cui si muove oggi la finanza climatica è ben più modesta: secondo quanto pattuito alla COP15 di Copenhagen nel 2009, si trattava di mettere sul piatto 100 mld l’anno entro il 2020: tutta un’altra scala. Su questa posizione sono anche grandi inquinatori come l’India, il Brasile e il Sudafrica, ma ance uno Stato come la Cina che, a dispetto della potenza economica, alla COP26 figura anacronisticamente come un paese in via di sviluppo.

Dall’altro lato del tavolo, le economie avanzate temporeggiano. C’è un sostanziale rifiuto a fissare già alla COP26 dei numeri chiari sulla finanza climatica per il 2030 e a prendere impegni nel dettaglio. A Glasgow si dovrebbe solo trovare un accordo su come affrontare questo capitolo dei negoziati in futuro e rimandare la decisione finale al 2024.

Gli altri ostacoli alla COP26

Oltre a questo ostacolo, la strada verso un accordo sembra un vero sentiero minato. Gli altri punti da discutere non sono meno sensibili. I paesi meno sviluppati chiedono equilibrio tra i fondi destinati a misure di mitigazione, come quelli per il taglio delle emissioni che fanno gola ai paesi ricchi per ripulire la propria impronta di carbonio, e i fondi per l’adattamento. A questi ultimi dovrebbe essere destinata almeno il 50% della finanza climatica. E almeno 100 miliardi dovrebbero essere sotto forma di grant e non di prestiti, così da limitare una crescita insostenibile del debito di paesi già fragili dal punto di vista economico.

I negoziati sono resi più ruvidi dalle divergenze su altri “dettagli”. Come il riconoscimento che l’obiettivo di finanza climatica al 2020 non è stato raggiunto. Per i paesi ricchi dev’essere un riconoscimento e basta, da inserire nella “cover decision” della COP26, il testo di comunicato finale generale. Per gli altri deve invece essere accompagnato da impegni precisi a sborsare anche i miliardi arretrati. O, ancora, come monitorare i progressi della finanza per il clima: per i paesi in via di sviluppo serve una reportistica annuale e più trasparente, non basta una revisione globale ogni 5 anni.

Sul capitolo Loss & damage volano stracci: i paesi ricchi non vogliono sentir parlare di compensazioni per i danni causati da estremi climatici potenziati dal climate change o da processi di lungo periodo come l’aumento del livello del mare. E fa capolino anche una divergenza su chi deve sborsare i fondi per la finanza climatica. Finora sono stati solo le economie avanzate ma molti paesi chiedono che i contributi arrivino anche da Stati con grandi capacità economiche, gli “upper middle income countries” come Cina, Corea del Sud, Messico e molti paesi arabi.

“Affinché questa COP abbia una qualche rilevanza politica, l’unico modo per andare avanti è una cover decision che riconosca e spinga a superare, con impegni precisi, le inadeguatezze delle attuali disposizioni finanziarie, in modo da sostenere adeguatamente i finanziamenti per l’adattamento, i finanziamenti per la mitigazione e i finanziamento per i Loss & damage”, scrive Climate Action Network nella newsletter quotidiana con cui segue i lavori di Glasgow. “Troppi soldi vengono sprecati per sovvenzionare l’industria sporca dei combustibili fossili. Troppo poco viene mobilitato per la consegna dove è più importante”. (lm)