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Il paradosso dell’ETS cinese che favorirà il carbone

Esteso solo al settore della produzione di elettricità, il mercato del carbonio di Pechino non ha nessun tetto alle emissioni ma un valore di riferimento per l’intensità di carbonio per unità di energia prodotta

ETS cinese: Pechino pronto a lanciarlo già a febbraio
credits: Emilian Robert Vicol da Pixabay

Molti i dubbi sull’efficacia a breve termine dell’ETS cinese

(Rinnovabili.it) – Riuscirà davvero a limitare le emissioni del primo inquinatore a livello globale? Oppure sarà un’arma spuntata, nelle mani di una leadership che deve fare i conti con gli interessi dell’industria, in particolare quella del carbone? Sono gli interrogativi sull’ETS cinese, a cui presto si potrà dare finalmente una risposta. Pechino ha annunciato che il suo sistema nazionale di scambio dei crediti di carbonio è pronto ed entrerà finalmente in vigore da febbraio. Non sono noti ancora tutti i dettagli, ma le caratteristiche principali sì.

Prima di tutto, sarà limitato al settore della generazione di energia elettrica. Il nuovo mercato del carbonio cinese comprenderà 2.225 tra entità e operatori. Ben più ristretto di quello europeo, che è servito da modello e ispirazione ai dirigenti di Pechino. L’ETS di Bruxelles, di cui è in preparazione un ulteriore allargamento in questi mesi, tocca anche industria pesante e aviazione.

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Il secondo punto dirimente è che, a differenza del mercato del carbonio del vecchio continente, l’ETS cinese non è un sistema cap and trade. Infatti, se i soggetti registrati possono scambiarsi i permessi secondo logiche di mercato (trade), il sistema non prevede invece alcun tetto (cap) al volume di emissioni totale.

La logica seguita da Pechino è differente e ruota attorno all’intensità di carbonio. Di fatto, lo Stato impone limiti di intensità di carbonio per ogni unità di elettricità generata da una centrale elettrica. Gli operatori i cui impianti sono al di sotto del valore di riferimento potranno vendere le loro quote di carbonio sul nuovo mercato. Quelli che lo superano, invece, saranno costretti ad acquistare quote aggiuntive.

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Nulla, nella struttura di questo strumento, permette quindi a Pechino di bloccare l’apertura di nuove centrali. Specie di quelle a carbone. Al momento, la Cina ha rilasciato autorizzazioni per installare almeno altri 250GW di carbone entro il 2025. E finché Pechino non renderà noti i suoi nuovi contributi nazionali volontari (NDC) e il piano quinquennale 2021-2025, non sarà chiaro quanto il governo intende davvero impegnarsi a limitare le emissioni.

Le premesse non sono particolarmente positive. Lo indica con chiarezza il valore di riferimento deciso da Pechino per l’intensità di carbonio: 0,877 t di CO2 / MWh. Nel 2018 e nel 2019, le emissioni medie di CO2 del settore energetico cinese erano già inferiori al questo benchmark, almeno per gli impianti oltre 300 MW.

Ci sono poi dei correttivi che indeboliscono ancora di più la portata trasformativa dell’ETS cinese. Chi emette in eccesso non pagherà in modo proporzionale, ma potrà beneficiare di un tetto massimo del 20%. E un secondo fattore correttivo tara al ribasso il benchmark sulla carbon intensity favorendo gli impianti che lavorano a metà capacità o meno.