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Economia con meno CO2, chiave per la ripresa post Covid-19

di Tommaso Tetro

(Rinnovabili.it) – Un’economia con meno CO2. In una parola: decarbonizzazione. Investire in questa direzione è la chiave per la ripresa economica post Covid-19; una strategia centrale per il futuro del Paese, a livello macroeconomico, che in uno scenario virtuoso può portare ad avere un tasso di occupazione al 68% nel 2030. Il quadro viene disegnato dal nuovo rapporto ‘Ossigeno per la crescita. La decarbonizzazione al centro della strategia post Covid’ messo a punto da Ref-E (agenzia specializzata in ricerca e consulenza per i mercati energetici) che si è avvalso del supporto di analisti, esperti e osservatori della ‘sostenibilità’ tra cui Enrico Giovannini, Giovanni Dosi, Pia Saraceno, Anastasia Pappas.

Dobbiamo ricordarci – mette in evidenza l’ex ministro e presidente dell’Istat Giovannini, ora portavoce di Asvis – che lo strumento a disposizione si chiama Piano nazionale di ripresa e resilienza. Parlare solo di ripresa ci fa dimenticare come anche la resilienza da futuri shock deve essere il nostro elemento guida. Se assumiamo questo punto di vista si capisce come serva un Piano con una visione sistemica per il futuro, non possiamo affrontare i problemi in maniera settoriale”.

Lo studio – viene spiegato – dimostra come la decarbonizzazione offra un’opportunità di rinnovamento del sistema produttivo italiano tale da recuperare gli impatti della crisi e superare lo stallo dell’economia nazionale che era presente prima dell’arrivo del Covid-19: è per questo che – si osserva nel rapporto – soltanto la decarbonizzazione, insieme con le giuste politiche da parte del governo, può consentire una ripresa davvero solidale con le generazioni future.

Le risorse europee, pari a circa 400 miliardi (209 miliardi dal piano Next generation Eu), permetteranno di innescare crescita e nuova occupazione offrendo la possibilità di mettere mano alle disuguaglianze che hanno colpito soprattutto giovani e famiglie monoreddito e acuite con la crisi, e allo stesso tempo indirizzare la crisi climatica.

Due gli scenari di ripresa descritti dallo studio, partendo dai dati macroeconomici del 2020, e cioè la caduta del Pil dell’8,4%, il crollo degli investimenti al 16% del Pil, il rapporto debito pubblico e Pil vicino al 160%, senza contare il crollo dell’occupazione. Nello scenario virtuoso invece grazie a una capacità di spesa per almeno l’80% delle risorse europee in modo coerente con lo sviluppo sostenibile si riescono ad attivare investimenti privati nei settori chiave come per esempio l’innovazione e la tecnologica: l’impatto economico è “imponente”, con un tasso di crescita medio annuo che potrebbe mantenersi vicino al 5% per alcuni anni, per poi scendere al 3,5% nel medio termine e assestarsi a 2% nel lungo termine. Uno scenario simile è capace sia portare avanti la transizione energetica che di creare le condizioni per il rientro del debito. Insomma con il corretto utilizzo dei fondi comunitari aumenterebbe il Pil del 30% entro il 2030 e il tasso di occupazione dell’11%, con un forte miglioramento delle opportunità per i più giovani.

In scenario definito ‘conservativo’ – in cui si riesce a spendere solo parte delle risorse Ue, il 50% – si avrebbe come risultato un rimbalzo del Pil parziale riuscendo a tornare soltanto nel 2024 ai livelli del 2019 e raggiungendo i livelli pre-crisi nel 2030. Il tasso di crescita converge poco sopra l’1% nel lungo periodo, e il rapporto debito e Pil al 2030 rimane ancora superiore al 140%. Inoltre il tasso di occupazione sarebbe segnato da un divario rispetto alla media europea.

Per un Piano di decarbonizzazione in grado realmente di rilanciare l’economia vengono individuate cinque aree di riforme necessarie. La prima, fiscalità: con l’introduzione di un prezzo minimo del carbonio a parità di gettito, eliminazione dei sussidi ambientalmente dannosi, e delle ambiguità nei meccanismi d’incentivazione rispetto agli obiettivi di decarbonizzazione, bonus auto ed efficienza energetica. La seconda, finanza sostenibile: coincidenza della tassonomia verde per indirizzare risorse pubbliche ed investimenti privati, emissione green bond. La terza, economia circolare: sostegno alle Pmi, meccanismi di promozione ai beni circolari, ecobonus legato a materiali riciclati, sostegno finanziario a imprese e start-up circular, strategia di supporto favorendo la misurazione, la rendicontazione e la formazione in economia circolare. La quarta, domanda pubblica: potenziare la domanda di prodotti e servizi per la decarbonizzazione con il Green public procurement e l’adozione di Criteri ambientali minimi per tutti gli acquisti della Pa. La quinta riforma, lavoro: formazione di nuove professioni, contrattazione collettiva a supporto della transizione energetica e ambientale, creazione di posti di lavoro pubblici green. 

Inoltre le risorse europee in tecnologie per la decarbonizzazione in almeno tre settori dell’industria pesante chiave dell’economia nazionale: ferro e acciaio, chimica, minerali non metallici, che sono responsabili di quasi il 50% dei consumi finali di energia e del 70% delle emissioni di gas serra dell’intera industria. Altri settori sono per degli accumuli elettrochimici e dell’idrogeno verde, in chiave di industrializzazione; nel settore elettrico bisogna sbloccare il processo autorizzativo per le fonti rinnovabili e portare avanti una riforma del mercato, favorire la produzione di moduli fotovoltaici nazionali. Infine il settore trasporti; gli incentivi per il rinnovo del parco auto dovrebbero rivolgersi soltanto a quelle elettriche. Mentre per l’alimentare sono fondamentali pratiche agricole in grado di aumentare la capacità di assorbimento della CO2.

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