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5 motivi per cui il Dispositivo Ripresa e Resilienza dell’UE non ha aiutato il clima

La Commissione sostiene che il piano di investimenti lanciato per puntellare la ripresa post-Covid abbia aiutato la transizione verde. In realtà, le cifre dell’esecutivo UE sono sovrastimate. E Bruxelles ignora diverse altre criticità. Il parere della Corte dei Conti UE

Dispositivo Ripresa e Resilienza: 34 mld “fantasma” per il clima
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Fondi per il clima sovrastimati di 34,5 miliardi: l’allarme della Corte di Conti UE

Gli investimenti dell’Europa per risollevare gli Stati membri dopo la pandemia sono molto meno “verdi” di quanto sembra. I fondi a favore dell’azione per il clima sono sovrastimati di più del 12,5%. Ben 34,5 miliardi di euro indebitamente etichettati come funzionali alla ripresa verde dell’UE sui 275 miliardi indicati come tali dalla Commissione. Ovvero, più del 42% delle risorse complessive mobilitate con il Dispositivo Ripresa e Resilienza (RRF).

Cosa non funziona nel Dispositivo Ripresa e Resilienza

Lo strumento finanziario da 700 miliardi che ha rappresentato il cuore del piano Next Generation EU è al centro di una severa relazione della Corte dei Conti UE pubblicata l’11 settembre. Nelle 56 pagine del rapporto, i revisori dei conti europei ravvisano 5 criticità per quanto riguarda uno degli obiettivi principali del Dispositivo Ripresa e Resilienza, ovvero supportare la transizione e il contrasto alla crisi climatica:

  • la sovrastima della quota di risorse del RRF dedicata all’azione per il clima;
  • debolezze nei traguardi (milestones, cioè gli obiettivi intermedi) delle azioni pertinenti con il clima;
  • incertezze nella valutazione degli obiettivi finali di queste azioni;
  • poca chiarezza nella rendicontazione delle spese effettivamente sostenute;
  • opacità nella compatibilità ambientale di alcuni progetti etichettati come “verdi”.

L’RRF costituisce un grande investimento in tutta l’UE e, se appropriatamente attuato, dovrebbe grandemente accelerare il conseguimento degli ambiziosi obiettivi climatici dell’UE”, ha affermato Joëlle Elvinger, membro della Corte responsabile della relazione. “Tuttavia, soffre attualmente di un elevato livello di approssimazione nei relativi piani, nonché di discrepanze tra la pianificazione e la pratica, ed in ultima analisi fornisce poche indicazioni circa la misura in cui il denaro sia impiegato direttamente per la transizione verde”.

Cosa non ha funzionato? Perché il meccanismo si è inceppato, nonostante sulla carta il piano di ripresa avesse tutte le carte in regola per funzionare? La Corte sottolinea che uno dei problemi di fondo riguarda come la Commissione attribuisce l’etichetta “verde” alle azioni finanziate con il RRF. L’esecutivo attribuisce un “coefficiente climatico” a ciascuna azione, pari a 100%, 40% o 0% a seconda della rilevanza per il contrasto della crisi climatica.

I revisori UE notano però che “per molte misure non si aveva una netta distinzione”, “i rispettivi contributi agli obiettivi climatici sono stati sovrastimati” in alcuni casi, e molti progetti “mancavano, a ben guardare, di un nesso diretto alla transizione verde”. In altri casi ancora, il coefficiente è stato attribuito a fronte di una valutazione d’impatto dell’azione che si è rivelata poi del tutto inadeguata.

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