Un rapporto di Both ENDS, Counter Balance e Oil Change International passa al vaglio le performance dei 27 paesi UE sul credito all’esportazione sostenibile. L’Italia si è impegnata sia in ambito UE che internazionale a cancellare le fossili dal credito all’export ma fa l’opposto. E la sua politica in merito non è allineata con la scienza del clima né con la traiettoria giusta per rispettare 1,5°C
Solo nel 2023, Roma ha finanziato con 1,7 mld 5 progetti fossili
(Rinnovabili.it) – Solo nel 2023, l’Italia ha finanziato con 1,7 miliardi di euro 5 progetti fossili sotto forma di supporto al credito per l’export. E la sua policy per la finanza sostenibile ha le esenzioni “più significative” per i combustibili fossili rispetto a tutti gli altri paesi che aderiscono alla Clean Energy Transition Partnership and Export Finance for the Future, l’iniziativa nata alla Cop26 di Glasgow per allineare finanza pubblica e obiettivi della transizione. Lo denuncia il rapporto EU ECA fossil fuel phase-out tracker rilasciato da Both ENDS, Counter Balance e Oil Change International, che passa al vaglio le performance dei 27 paesi UE sul credito all’esportazione sostenibile.
L’Italia non si impegna davvero sul credito all’esportazione sostenibile
L’Italia è solo nominalmente nel gruppo dei paesi che si stanno muovendo per spostare la sua finanza pubblica su una traiettoria compatibile con la soglia di 1,5°C. Come l’Austria, la Germania, la Slovacchia e la Slovenia, Roma ha adottato una politica per l’abbandono graduale dei combustibili fossili che tocca anche il capitolo del credito all’export. Ma il piano è “ben lontano dall’essere in linea con la scienza del clima e con il percorso obbligatorio verso 1,5°C”, sostiene il rapporto. Tra petrolio e gas, in nome della sicurezza energetica, fissa scadenze che “lasciano ampio spazio per continuare a investire nei combustibili fossili, in alcuni casi fino al 2030”.
Altri 5 paesi – Croazia, Repubblica Ceca, Grecia, Lettonia, Romania – non hanno ancora adottato alcuna politica sul credito all’esportazione sostenibile. Anche se il Consiglio UE, nel 2022, aveva stabilito che ogni paese avrebbe dovuto prepararla entro la fine del 2023.
Solo otto paesi UE risultano in regola sotto ogni profilo o quasi. Si tratta di Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Lussemburgo, Olanda, Svezia e Spagna. Anche se Madrid lascia ampi margini per ulteriori investimenti in gas naturale liquefatto: ha la maggior capacità di rigassificazione in Europa, oltre 60 mld m3 cioè più del 27% dell’intera capacità UE.
C’è poi una pattuglia di 5 paesi – Bulgaria, Estonia, Lituania, Polonia e Portogallo – che non hanno messo nero su bianco alcun impegno formale sul phase out delle fossili nel credito all’esportazione, ma affermano di non finanziare progetti su carbone e idrocarburi.