Il dossier dei Loss & Damage è al centro dell’agenda della COP27 in Egitto
(Rinnovabili.it) – Il summit sul clima di Sharm el-Sheikh che inizia questa domenica dovrebbe essere la “COP dell’implementazione”. Implementazione di cosa? Delle promesse della COP26, molte delle quali arrivano ammaccate alla COP27 in Egitto dopo un anno di crisi energetica e invasione russa dell’Ucraina. Ma forse anche e soprattutto di quegli aspetti che, a Glasgow, non hanno trovato il giusto spazio. A partire dalla finanza climatica.
La finanza climatica sul tavolo della COP27 in Egitto
I fondi destinati ai paesi più vulnerabili per fronteggiare l’impatto della crisi climatica, infatti, sono “il” tema della COP27 in Egitto, insieme all’obiettivo di 100 mld $ l’anno (per ora, ancora non raggiunto nonostante i quasi 3 anni di ritardo) e alla negoziazione del nuovo target post 2025. E per la prima volta, un vertice sul clima sembra giocarsi tutto – o in gran parte – su un tema fortemente legato alla giustizia climatica. Proprio per questo motivo, attorno a questi fondi, al meccanismo per distribuirli e alle regole per versarli, è in corso un braccio di ferro che contrappone le economie avanzate (che sono anche i maggiori responsabili delle emissioni storiche) e i paesi più vulnerabili.
Il braccio di ferro è iniziato subito dopo la firma del Paris agreement nel 2015. Alcuni aspetti della finanza climatica sono previsti esplicitamente dal patto raggiunto alla COP21 sette anni fa, ma da allora sono rimasti lettera morta o quasi. In particolare, poco o nulla è stato fatto finora sui Loss & Damage, cioè le perdite e i danni che i paesi ricchi dovrebbero rifondere ai paesi vulnerabili. Riconoscendo così implicitamente, e legalmente, la loro maggior quota di responsabilità nella crisi climatica.
Viste queste premesse, non deve stupire che il dossier Loss & Damage, in origine, non fosse neppure stato inserito nell’agenda della COP27 in Egitto. Le economie avanzate temono che si scoperchi il vaso di Pandora e che, stabilito il principio che chi ha inquinato di più deve pagare di più versando denaro a chi è colpito dalla crisi climatica, parta l’assalto alla diligenza. Dall’altro lato della barricata, i paesi più vulnerabili premono per accelerare la creazione di un meccanismo che regoli le perdite e i danni. In fretta, visto che il clima che cambia sta rendendo gli eventi estremi più intensi e frequenti e la loro capacità di rialzarsi dopo tifoni, inondazioni o altri fenomeni è minima.
Le soluzioni sul tavolo
La COP24 ha istituito un meccanismo – solo su carta – per gestire il dossier Loss & Damage. Mancano però gli ultimi ingranaggi per farlo funzionare e manca soprattutto il carburante, cioè i fondi. Alla COP26 i progressi sperati sono evaporati bozza dopo bozza di accordo finale. Dal testo definitivo, infatti, sono sparite tutte le proposte avanzate. La versione finale rimanda anche questo tema alla COP27 in Egitto. Come d’altronde rimanda un passaggio fondamentale come lo stabilire una definizione definitiva e globale di cosa si intenda per finanza climatica.
Lo stallo ai negoziati non significa che non esistano delle soluzioni possibili o preferite dai vari stati. I paesi più vulnerabili vorrebbero che gli esborsi siano commisurati al ruolo che il singolo paese ha avuto nelle emissioni storiche. L’Africa, ad esempio, è responsabile appena del 3% delle emissioni globali di gas serra.
Di contro, molti paesi con economie avanzate vorrebbero sì discutere il tema in Egitto, ma solo per trasformare i Loss & Damage in una riorganizzazione degli aiuti allo sviluppo già esistenti. Niente nuovi fondi o quasi, quindi, ma un maggiore coordinamento delle somme già circolanti e una ricalibrazione su obiettivi climatici prioritari.
Eppure, notava un report recente della Loss and Damage collaboration, un ombrello di 24 tra ong e organizzazioni internazionali che include CAN, CIEL, WWF, università di Exeter, Heinrich Böll Stiftung, i profitti fossili realizzati dal 2000 al 2019 – prima del boom dei prezzi dell’energia – basterebbero da soli a coprire 60 volte tutti i danni ai 55 paesi più vulnerabili alla crisi climatica. Nell’ultimo anno, i profitti di sole 6 compagnie fossili sarebbero sufficienti a rifondere tutti i danni degli eventi estremi, e avanzerebbero ancora 70 mld di dollari.
(lm)