La versione finale della carbon tax europea sarà presentata il 14 luglio
(Rinnovabili.it) – Terrà dentro le industrie ad alta intensità energetica ed elettricità. Avrà un periodo di rodaggio di tre anni. E prevederà delle esenzioni per i paesi più poveri per non penalizzarli troppo. È questa la silhouette della carbon tax europea, l’imposta alla frontiera sulle importazioni da paesi che hanno standard climatici più bassi di quelli di Bruxelles. Per ora il testo è soltanto una bozza, ma nel giro di poco più di un mese la Commissione presenterà la versione finale (14 luglio).
La forma scelta dall’esecutivo UE è un regolamento che istituisce un’autorità per il meccanismo di aggiustamento del carbonio alla frontiera (carbon border adjustment mechanism, CBAM). Meccanismo che avrà un’introduzione graduale, a partire dal 2023, e che dovrebbe andare a regime non prima del 2026. I settori coperti dalla carbon tax europea sono, per ora, acciaio, ferro, cemento, fertilizzanti, alluminio ed elettricità.
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Il testo del regolamento fissa anche una procedura standard per calcolare le emissioni integrate in questi prodotti. Quelle considerate dalla carbon border tax saranno sia le emissioni dirette sia quelle indirette. Le prime sono definite come quelle coinvolte nel processo di produzione “su cui il produttore ha il controllo diretto, comprese le emissioni derivanti dalla produzione di riscaldamento e raffreddamento consumate durante il processo produttivo”. Le seconde invece comprendono le emissioni che derivano da “elettricità consumata durante il processo produttivo della merce”. Nota che farà storcere più di qualche naso, il tema dei permessi gratuiti: non solo sono previsti, ma il testo non fissa alcuna data di phase out.
Tutti dettagli, questi, che andranno attentamente limati per scampare alla ghigliottina del WTO. L’organizzazione mondiale del commercio, infatti, sta tenendo d’occhio il CBAM e avrà di fatto l’ultima parola: boccerà l’iniziativa europea se sarà una forma di protezionismo mascherato. “Il CBAM non è e non deve essere visto come una misura fiscale per ripagare il Recovery Plan europeo – avverte Pascal Lamy, direttore del WTO ed ex commissario UE – È prima di tutto una misura per il clima e, in quanto tale, il suo unico obiettivo deve essere la riduzione delle emissioni globali di gas serra”. Punto che Bruxelles può aggirare se, oltre a riservare gli introiti della carbon tax alla frontiera per il budget europeo, ne farà confluire una parte in un fondo di aiuti per la transizione ecologica dei paesi più svantaggiati.
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Oltre che dal WTO, nel proporre la carbon tax europea l’UE deve guardarsi anche dalle possibili ritorsioni di altri paesi. A partire dalla Cina, che ha sempre fatto sapere di non voler nemmeno sentire parlare di una misura che ne penalizzerebbe moltissimo l’export verso il vecchio continente. E che darebbe in mano a Bruxelles una carta per fare pressione sulla politica climatica di Pechino. Preoccupazioni che sono condivise almeno in parte anche dagli Stati Uniti. Biden però sta scegliendo un’altra strada e lavora a un suo progetto di carbon tax a stelle e strisce, magari coordinato con quello europeo.