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Biolubrificanti, i benefici e le prospettive nel nuovo dossier

NextChem e Fondazione Ecosistemi hanno presentato dal palco Forum Compraverde Buygreen il primo rapporto dell'Osservatorio sui biolubrificanti. Una fotografia puntuale della filiera e del mercato in questo settore

biolubrificanti
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Pubblicato il primo studio dell’Osservatorio nazionale sui biolubrificanti

(Rinnovabili.it) – La chimica verde “coltiva” ormai da anni un piccolo tesoro: i biolubrificanti, alternativa green ai tradizionali oli derivati dal petrolio. Si tratta di prodotti di completa o parziale origine naturale, compatibili con l’ambiente e, soprattutto, biodegradabili. Le principali colture dalle quali vengono ricavati normalmente sono il girasole, le brassicacee (tra cui la colza) e altre specie oleaginose. Ma possono essere prodotti anche attraverso una reazione di esterificazione tra un alcol ed un acido grasso.

La ricerca di settore li ha dotati di caratteristiche comparabili ai lubrificanti di origine fossile e la nuova spinta all’economia circolare li ha resi uno strumento importante per lo sviluppo moderno. Ma quanto è matura la filiera? Quali sono le dimensioni del mercato? E quali contributi questi prodotti possono apportare alla nuova transizione ecologica? A rispondere a queste ed altre domande è il primo Osservatorio nazionale sui biolubrificanti, tavolo di lavoro istituito da NextChem, la controllata di Maire Tecnimont che opera nel campo della chimica verde e delle tecnologie per la Transizione Energetica, con la collaborazione Fondazione Ecosisitemi. L’osservatorio nasce con il preciso obiettivo di raccogliere dati e informazioni, di carattere tecnico e di mercato, sui biolubrificanti e sul sotto-segmento dei lubrorefrigeranti. E di identificare le migliori pratiche e i benefici legati a questi prodotti.

I vantaggi dei biolubrificanti

Un vantaggio è abbastanza ovvio: la versione “bio”, riducendo l’uso di petrolio, aiuta anche ad abbassare le emissioni di gas climalteranti lungo tutto il ciclo di vita. Si stima circa un 28% di CO2 in meno dalla produzione all’utilizzo. Ma non si tratta solo di una questione climatica.

La comparazione dei lubrificanti a base minerale con quelli a base di oli vegetali o di derivazione vegetale provenienti da fonti rinnovabili, lascia pochi dubbi anche quando si tratta di valutare gli impatti ambientali e sociali. I biolubrificanti si sono dimostrati molto meno impattanti sul fronte della riduzione dell’ozono e dell’acidificazione delle piogge. Inoltre, si legge nel dossier, “la linea vegetale, visti gli effetti cutanei di origine chimica e microbiologica e dal rischio cancerogeno mutageno da IPA presenti negli oli minerali nelle sue molteplici varianti, arreca benefici relativi a biodegradabilità, rinnovabilità, riduzione dei consumi energetici, altissima tollerabilità igienico-sanitaria, riduzione del rischio incendio. I lavoratori hanno percepito un miglioramento delle condizioni di salute associate ai biolubrificanti: per una minore presenza di problemi cutanei, una migliore condizione di pulizia dei locali e delle superfici e la percezione di una migliore qualità dell’aria”.

Il mercato dei biolubrificanti

A livello mondiale il settore ha superato, nel 2016, i 2 miliardi di dollari di valore. E grazie anche alle nuove esigenze verdi della transizione ecologica globale, è prevista una crescita significativa, fino ai 3,98 miliardi di dollari entro la fine del 2025. Oggi, i lubrificanti “bio” vengono impiegati in un’ampia gamma di applicazioni industriali (industria tessile, conciaria, cartaria, metallurgica, metalmeccanica, estrattiva e di escavazione, agroalimentare, farmaceutica e in agricoltura) e il loro ruolo sarà sempre più rilevante in quei settori in cui la protezione della natura è la prima preoccupazione. Ad esempio nel comparto navale, dove grazie alla capacità di degradarsi velocemente, offrono una maggiore protezione per gli ambienti acquatici. Inoltre, il loro basso punto di congelamento li rende adatti per applicazioni critiche a basse e bassissime temperature di utilizzo nei circuiti oleodinamici. 

In Europa rappresentano circa il 5% del totale del mercato complessivo dei lubrificanti, con un consumo stimato che si aggira intorno alle 100.000 tonnellate per quelli di origine vegetale. Tuttavia il settore si concentra nei paesi di lingua tedesca e nord Europa. L’Italia appare più indietro sebbene l’interesse stia progressivamente crescendo, soprattutto a livello industriale. Il Belpaese può però contare su un significativo know how che ha permesso ad alcune imprese italiane particolarmente innovative di ritagliarsi di spicco nel mercato europeo.

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Il rapporto evidenzia anche come il mercato nazionale (e non solo) possa essere fortemente promosso dai Criteri Ambientali Minimi (CAM) relativi ad acquisto, leasing, locazione e noleggio di veicoli adibiti al trasporto su strada e all’acquisto di grassi ed oli lubrificanti connessi. I CAM, la cui adozione è obbligatoria, incentivano infatti l’uso dei biolubrificanti nel mercato pubblico. Ma a livello più generale è necessario oggi cambiare il tipo d’approccio per una sostituzione progressiva degli attuali prodotti omologhi di origine minerale, non biodegradabili, non rinnovabili. In questo contesto l’Osservatorio punta attraverso un’informazione puntuale e dettagliata a promuovere l’impiego dei biolubrificanti in diversi settori applicativi, anche in un’ottica di economia circolare. Al tavolo partecipano: ASSITOL (Associazione Italiana dell’Industria Olearia), Bellini SpA, Brembo SpA, CNR-SCITEC, Domus Chemicals SpA, Dott. Paolo Bondioli (Oil Technology and Oleochemistry – Expert), Fincantieri, Fondazione Ecosistemi, NextChem SpA, Renoils, Sogis SpA, Terna SpA, Università di Salerno.

Per leggere il dossier completo: https://nextchem.it/media/our-points-view