Rinnovabili • Bioeconomia in Italia: oltre 800 start-up innovative

Innovazione e vitalità, la bioeconomia in Italia vale il 10% del pil

Il 10° rapporto di Intesa Sanpaolo sulla performance dei settori che impiegano materie prime di origine biologica rinnovabile mostra una crescita continua per il Belpaese, +20% in 2 anni, la migliore in Europa. Questa fetta di economia nazionale vale 437,5 miliardi e dà lavoro a quasi 2 milioni di persone. Innovazione tecnologica dei prodotti e dei processi e numero di brevetti alimentano la corsa

Bioeconomia in Italia: oltre 800 start-up innovative
Foto di ThisisEngineering su Unsplash

La filiera agro-alimentare rappresenta il 63% della bioeconomia in Italia

Vale il 10% del pil nazionale, nel 2023 ha generato un valore pari a 437,5 miliardi di euro (+2,1% annuo), dà lavoro a circa 2 milioni di persone. Sono i numeri della bioeconomia in Italia, l’insieme di settori che impiegano materie prime di origine biologica rinnovabile. Una parte importante dell’economia nazionale, che continua a crescere e dimostrare un’estrema vitalità. Portando il Belpaese ai primi posti in Europa.

Bioeconomia in Italia, in 2 anni +20%

Tra Italia, Francia, Germania e Spagna, la bioeconomia vale in tutto 1.751 miliardi. Ma se in media, nel continente, la crescita nell’ultimo anno è stata asfittica (+0,2%), in Italia continua a viaggiare su ritmi più sostenuti. Nel confronto con il 2021, Italia e Francia evidenziano le migliori performance, con un incremento superiore al 20% del valore della produzione. Il Belpaese è passato da 362 a 437,5 mld in due anni, incrementando il numero di occupati di quasi 20mila unità (in tutto, occupa il 7,6% della forza lavoro).

La fotografia scattata dal 10° rapporto sullo stato della bioeconomia in Europa, curato da Intesa Sanpaolo, sottolinea la vitalità di questa fetta di economia nazionale e sul ruolo della filiera agroalimentare. Nel Belpaese sono oltre 800 le start-up innovative censite nel 2023, il 6,6% del totale delle imprese iscritte all’apposito registro. La diffusione è da Nord a Sud e si concentra soprattutto nel settore della ricerca e sviluppo (45%), seguito dall’agri-food (25%).

E proprio la filiera agro-alimentare riveste “un ruolo chiave” nel complesso. In Italia pesa per oltre il 63% di tutte le attività riconducibili alla bioeconomia, davanti al sistema moda bio-based, alla carta e a legno e mobili bio-based. Ed è “sempre più protagonista del percorso di transizione verso una maggiore sostenibilità dei processi”, sottolinea il rapporto.

Fattore fondamentale: la tecnologia. Anche se le imprese italiane nell’agrifood hanno dimensioni nettamente inferiori rispetto ai concorrenti europei, spiccano per la quota elevata di innovazioni di prodotto, il 20%, contro una media UE del 12%, e di processo (36%, 15 punti percentuali sopra gli altri paesi UE). E il Belpaese, a livello di filiera, è il 7° al mondo per numeri di brevetti. Il livello di specializzazione, in questo ambito, è “in netto rafforzamento” grazie soprattutto alla presenza di “un sistema innovativo ampio e diversificato che include imprese di altri settori, in primis la meccanica ma anche la farmaceutica e la chimica”, aggiunge il rapporto.

Dove vanno forte le imprese italiane della bioeconomia? Tra i settori più dinamici negli ultimi anni spicca la cosmetica. L’Italia in questo ambito è sempre più specializzata ed è 3° esportatore europeo dopo Francia e Germania. I cosmetici a connotazione naturale/biologica, a fine 2023, sono il 10,4% del settore, pari a oltre 1,3 miliardi di euro con una crescita del 7,1% rispetto all’anno precedente.

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