Rinnovabili

Investire nelle fossili fino al 2030 moltiplica per 5 i beni incagliati

Investire nelle fossili fino al 2030 moltiplica per 5 i beni incagliati
Investire nelle fossili. Foto di Retina Creative da Pixabay

Quanti investimenti, beni fisici e competenze sono messi a rischio da una transizione che procede col freno a mano tirato? A quanto ammontano gli ‘stranded assets’, i cosiddetti beni incagliati che iniziano invariabilmente a perdere valore mentre il mondo procede verso emissioni nette zero nel 2050? E quanti asset a rischio in più avremmo se continuiamo a investire nelle fossili ai ritmi di oggi?

A queste domande prova a rispondere uno studio delle università di Exeter e Lancaster, il primo a tentare una valutazione del rischio sia per i beni fisici (ad esempio gli edifici) e il capitale, sia per il valore dei lavoratori. Vengono cioè considerati aspetti molto diversi come la perdita di valore di una centrale a carbone man mano che le fonti rinnovabili penetrano nel mix energetico, sia un lavoratore che perde il lavoro e il suo reddito futuro mentre il settore in cui è occupato va verso un declino.

Beni incagliati, 2 scenari

Lo studio confronta due scenari. Nel primo scenario, i ricercatori immaginano che il mondo abbia smesso di investire in settori ad alta intensità di carbonio già nel 2020. Nell’altro scenario, lo stop agli investimenti fossili e high-carbon è posticipato di appena 10 anni, al 2030.

Si tratta di 10 anni che fanno una differenza enorme: ritardare la transizione si traduce nell’aumentare “drasticamente” il rischio di beni incagliati. Nel primo caso, infatti, gli stranded asset ammonterebbero a 117mila miliardi di dollari. Nel secondo, il totale schizza a 557mila miliardi. Circa 5 volte di più, una quantità di denaro pari a più di 1/3 dell’intero capitale globale.

“Più aspettiamo, più disordinata sarà la transizione”, ha affermato Cormac Lynch, ricercatore dell’università di Exeter e coautore dello studio. “Una transizione ordinata metterebbe le comunità in una buona posizione per sfruttare nuove opportunità man mano che l’economia cambia, mentre una transizione disordinata potrebbe mettere alcune aree a rischio di declino post-industriale”.

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