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300 CEO hanno chiesto tempi e modi certi per la transizione ecologica

L’industria ad alta intensità richiede tempi e modalità certe per i percorsi verso la transizione ecologica. In vista dei voti di oggi del Parlamento europeo, una lettera aperta firmata da circa 300 amministratori delegati.

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Foto di jwvein da Pixabay

Gli amministratori delegati delle industrie ad alta intensità energetica richiedono organizzazione e una roadmap chiara per la transizione ecologica. Oggi in Parlamento Europeo dovranno essere votati il meccanismo di adeguamento delle emissioni importate (carbon border adjustment mechanism, cbam) e mercato delle emissioni europeo (emissions trading scheme, ets). In vista della plenaria, circa 300 CEO di aziende ad alta intensità energetica hanno firmato una lettera aperta. 

Le firme rappresentano 400 società europee relative a molti settori, per un totale di circa 2,6 milioni di posti di lavoro. Tra i firmatari, anche le italiane Borrmioli e Arvedi, le Cartiere Saci e Confindustria Ceramica, a nome delle 86 aziende che rappresenta. 

L’appello è stato presentato da una compagine di grandi aziende tra cui i big dell’acciaio europeo, Solvay, Villeroy & Boch e Repsol.  Al centro delle preoccupazioni degli amministratori delegati la concorrenza internazionale delle imprese non vincolante dagli impegni climatici assunti dall’Unione Europea. 

All’interno del testo viene inoltre segnalato l’impatto negativo delle misure assunte proprio per i settori industriali delle tecnologie verdi. L’aumento dei costi del carbonio, parallelo alla necessità di fondi per la decarbonizzazione, sostengono i CEO, ridurrebbe le risorse per investimenti verso la transizione ecologica, tagliando le quote gratuite ets. Questo, secondo gli amministratori delegati, avrà l’effetto di rallentare il taglio delle emissioni invece che accelerarlo e, di conseguenza, di allontanare il decollo delle tecnologie per la sostenibilità.

La lettera aperta inoltre denuncia il timore di un aumento esponenziale delle importazioni di prodotti a basso costo ed alta impronta ecologica, per la collaborazioni con altri Paesi non vincolati negli impegni della transizione come l’India, la Turchia e la Cina. Secondo le imprese, infatti, nel 2021 è stata registrata una crescita del 32% delle importazioni d’acciaio da questi ultimi. 

Il fenomeno, oltre ad avere conseguenze ecologiche negative, ha comportato e comporta attualmente il rischio di chiusure e licenziamenti in Europa, oltre che di delocalizzazione delle emissioni fuori dall’ambito comunitario.