L’astensione di Roma e Berlino fa mancare la maggioranza qualificata in sede di Consiglio sulla norma che stabilisce criteri di trasparenza e responsabilità lungo la supply chain globale delle aziende in materia di ambiente, diritti umani e dei lavoratori. “Troppa burocrazia per le imprese” la ragione addotta. L’industria europea è spaccata, con voci autorevoli sia pro (la Cocoa Coalition ad esempio) che contro (la Confindustria tedesca)
13 astensioni e 1 no dai Ventisette sulla due diligence aziendale
(Rinnovabili.it) – Fumata nera per la nuova direttiva UE sulla due diligence aziendale (CSDDD). Le norme che stabiliscono come ripulire la supply chain delle imprese da violazioni dei diritti umani e danni all’ambiente sono state affossate dai Ventisette, prima ancora di metterle ai voti. È successo ieri al Coreper, la riunione dei diplomatici dei paesi membri che prepara il campo per il voto finale del Consiglio. Voto che non si terrà perché la discussione informale ha chiarito che manca la maggioranza qualificata. E che l’opposizione alla direttiva è cresciuta nelle ultime settimane. Se non si troverà la quadra entro metà marzo, tutto sarà rimandato a dopo le elezioni di giugno.
Roma e Berlino affondano la due diligence aziendale
L’Italia è tra i paesi che frenano. Roma aveva mostrato le sue perplessità fin dal principio, e anche se ieri si è astenuta è stata determinante per affossare la due diligence aziendale. Il passo indietro italiano, insieme a quello di Berlino, ha fatto mancare la soglia minima per l’ok alla direttiva, cioè il sì di almeno 15 paesi su 27 che rappresentino almeno il 65% della popolazione europea.
Insieme all’Italia anche Germania, Svezia, Estonia e Finlandia guidano la pattuglia di paesi contrari. Ma a questo gruppo si sono aggiunte Austria, Cechia, Ungheria, Lituania, Lussemburgo, Malta e Slovacchia. Mentre la Francia è rimasta più ambigua e ha provato a diluire ancora di più le regole della due diligence aziendale per concedere il suo sì.
Perché la direttiva sulla sostenibilità della supply chain delle imprese non piace
Cosa c’è dietro la serrata di ranghi dei Ventisette? Il motivo principale dietro il no sarebbe l’eccesso di burocrazia che sarebbe imposto alle imprese per rispettare le nuove regole. Una ragione analoga a quella usata da molti paesi e gruppi politici anche per affondare o ammorbidire altre misure europee sulla sostenibilità, a partire dalla politica agricola comune (PAC) e dalla legge sul Ripristino della Natura (Nature Restoration Law).
È la posizione presa dalla componente liberale del governo di Berlino, ad esempio. Mentre per Parigi il punto principale era rilassare gli standard di applicazione, alzando il numero di dipendenti oltre i quali scattano gli obblighi da 500 a 5000 (così facendo, le aziende europee toccate dalla direttiva CSDDD crollerebbero da 15mila a 1.400 circa). Il no alla CSDDD è una “deplorevole battuta d’arresto per la responsabilità delle imprese e la tutela dei diritti umani e dell’ambiente in tutto il mondo”, scrivono 136 ong europee, un fallimento “orchestrato dal partner di coalizione tedesco di minoranza, il FDP, che ha incontrato la debole resistenza del cancelliere Scholz”.
Il mondo delle imprese, invece, è spaccato. Sono molte – soprattutto in Germania – le voci che si sono levate contro le nuove norme sulla due diligence aziendale. Tra cui quella della Confindustria tedesca, la BDI, che non vuole la legge perché molto più stringente delle regole in vigore oggi in Germania.
Ma ci sono anche imprese di grossa taglia che sono a favore. Come l’italiana Ferrero, che insieme alla Cocoa Coalition – le aziende della filiera del cacao, toccate profondamente dalla direttiva – ha chiesto ai governi europei di approvare la norma per allineare le regole UE agli standard internazionali e per dare un quadro più chiaro e stabile a chi fa impresa, superando così l’attuale frammentazione normativa. Ma a favore della direttiva, in Italia, si sono espresse anche Legacoop e Cna, la Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa.