Il nuovo PNIEC richiederà almeno 60 GW da rinnovabili entro il 2030
(Rinnovabili.it) – Gli obiettivi della transizione energetica per il 2030 previsti dal PNIEC, il piano nazionale energia e clima, sono più lontani di quello che sembra. Tanto lontani, che l’Italia rischia di raggiungerli soltanto nel 2090. Ai ritmi attuali, invece dei 10 anni che abbiamo a disposizione, ce ne servirebbero 70 per installare la capacità prevista di eolico e solare fotovoltaico. I calcoli sono dell’Anev, l’Associazione nazionale energia del vento, che a inizio luglio 2021, insieme ad altre associazioni italiane ed europee della green energy, è tornata a chiedere al governo un colpo di reni sulle rinnovabili.
Ma la situazione è davvero così critica? Per molti versi sì. È come se l’Italia dovesse correre i 100 metri piani ma fosse ai blocchi di partenza sulla pista sbagliata, con ostacoli, siepi e curve a separarla dal traguardo. Queste non sono le premesse migliori, per usare un eufemismo. Abbiamo provato a ricostruire il quadro normativo che regola lo sviluppo delle rinnovabili in Italia, e poi a capire quali sono gli intoppi principali e cosa si potrebbe fare per risolverli.
Aspettando il nuovo PNIEC
Partiamo dal punto di riferimento obbligato, cioè il testo che definisce quali sono gli obiettivi sulle rinnovabili: il già sopracitato PNIEC. Il documento prevede una crescita significativa delle rinnovabili entro la fine di questo decennio, con 10 GW di eolico e ben 32 GW di solare fotovoltaico in più rispetto alla capacità installata nel 2017. Non solo: fissa anche obiettivi intermedi al 2025 e finali per i sistemi di accumulo, che sono necessari per accompagnare la crescita dell’energia pulita garantendo sicurezza e flessibilità al sistema elettrico nazionale. Il documento è stato redatto nel 2019 ed è già allineato alla direttiva RED II, la legislazione di livello europeo sulle fonti rinnovabili che fa da grande cornice generale.
È questo il traguardo a cui deve guardare l’Italia? No, il traguardo è ben più distante. Ma non sappiamo ancora quanto con esattezza. Questo perché dal 2019 a oggi l’Unione Europea ha alzato i suoi obiettivi di riduzione delle emissioni. Con la legge Clima, approvata a fine giugno, al 2030 il taglio dev’essere del 55% rispetto ai valori del 1990. Il vecchio PNIEC (quello datato gennaio 2020) è tarato sul target precedente, -40%, e per questo motivo il Governo lo dovrà aggiornare.
Secondo alcune stime, le rinnovabili dovranno passare dal 30% al 38-40% sui consumi finali lordi totali nel 2030, mentre la penetrazione nel settore elettrico dovrebbe salire dal 55 al 70% circa. Tradotto: dovranno essere installati 60-70 GW di rinnovabili in 9 anni.
La giungla normativa delle autorizzazioni
Significa che la velocità dello sprint italiano deve essere di 6,5-8 GW l’anno di nuova capacità installata, ma come siamo attrezzati, da questo punto di vista? Per quanto riguarda il decreto FER 1, provvedimento approvato nel 2019 che disciplina gli incentivi per le rinnovabili fino alla fine del 2021, questo riguarda 8.000 MW che vengono assegnati con procedure di registro e soprattutto di asta (quasi l’80%).
Il problema è che l’atleta Italia ha iniziato la corsa dei 100 metri con il passo ben più lento del maratoneta. Solo un terzo dei MW messi a gara sono stati assegnati finora. Le gare sono andate sempre più deserte. Nell’ultima asta (gruppo A) l’aggiudicazione è stata del solo 5%, 74 MW su 1582 MW messi a gara. Il motivo? Principalmente, la mancanza di titoli autorizzativi validi. Gli operatori non partecipano perché ottenere i permessi per installare gli impianti consta in un procedimento troppo lungo e incerto. Il ministro della Transizione Ecologica Cingolani ha annunciato l’imminente estensione del decreto FER 1e la pubblicazione del decreto FER 2. Ma fare nuove gare non risolve, di per sé, il problema di fondo.
Problema che ha la forma di un groviglio di leggi, provvedimenti autorizzativi, enti competenti per valutare le richieste. Quello delle rinnovabili è un caso in cui i cliché sono, purtroppo, molto simili alla realtà: la normativa che regola l’iter autorizzativo è davvero una giungla. Ricostruire puntualmente ogni testo è pressoché impossibile. Citiamo solo qualche numero che aiuta a mettere in prospettiva. A livello nazionale, solo le leggi più rilevanti sono una decina, come il D.Lgs. 387/2003 che disciplina l’Autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio degli impianti rinnovabili, il Testo unico dell’ambiente del 2006, o ancora il D.Lgs. 28/2011 che ha introdotto la Procedura abilitativa semplificata (la PAS, era il 2011). I procedimenti che discendono da queste norme, come la PAS appena citata e la Valutazione di impatto ambientale (VIA) sono ugualmente una decina. Questo livello si incrocia con quello dei provvedimenti regionali. Per dare un parametro, basti pensare che, negli ultimi 20 anni, sono stati emessi circa duemila provvedimenti regionali di integrazione, modifica e attuazione della normativa nazionale in ambito FER. Insomma: un iter molto frammentato, che si traduce in tempi (troppo) lunghi per ottenere le autorizzazioni.
Da dove iniziare a rimettere in ordine?
E dalle autorizzazioni conviene ripartire con qualche intervento governativo. L’esecutivo è fresco di approvazione del decreto Semplificazioni bis. Che ha apportato qualche novità positiva, accorciando un po’ i tempi. Ad esempio, individuando direttamente le opere, gli impianti e le infrastrutture da realizzare per il raggiungimento degli obiettivi fissati dal PNIEC, con un allegato inserito nel Testo Unico Ambientale. Ma servirebbero altri interventi, ben più incisivi, per snellire, razionalizzare e accelerare i procedimenti di rilascio delle autorizzazioni. Anche perché restano dei passaggi ambigui, e l’ambiguità rischia di far inciampare.
Ad esempio in tema di repowering, il ripotenziamento degli impianti. Il decreto Semplificazioni non dà parametri oggettivi e uniformi per tutto il territorio per determinare se gli interventi hanno natura “sostanziale” o “non sostanziale”. Vale a dire, nel primo caso, se non si applica la procedura semplificata, oppure se, come nel secondo caso, si applica la PAS. Anche con la procedura semplificata, restano però altri colli di bottiglia a causa delle tempistiche per VIA e autorizzazione paesaggistica.
Ma probabilmente, se si andasse a ritoccare le decine e decine di leggi esistenti, non si farebbe in tempo e non si garantirebbe un percorso più veloce e lineare alla corsa delle rinnovabili. È vero, a giudizio delle utility e delle associazioni dei produttori coinvolte direttamente i due decreti Semplificazioni hanno fatto qualche passo nella giusta direzione. Si tratta però di ritocchi, non del cambiamento profondo di cui c’è bisogno per evitare ritardi.
Uno dei nodi più intricati deriva dal fatto che la giungla normativa porta spesso a scontrarsi – o a non lavorare in sintonia – con i livelli di Stato e regioni. E le tempistiche si allungano. Bisogna trovare il modo di far andare a braccetto il piano nazionale e quello locale, invece di concentrarsi su soluzioni parziali che riguardano solo uno dei due piani.
Un esempio l’abbiamo: il meccanismo di burden sharing con cui abbiamo declinato in obiettivi regionali il Piano d’Azione Nazionale che fissava, nel 2012, gli obiettivi di produzione FER sui consumi finali lordi totali del Paese al 2020. Pensare a uno strumento simile, che traduca il nuovo PNIEC in obiettivi regionali vincolanti, potrebbe essere un buon inizio. Magari accompagnato da un meccanismo di incentivazione che premi le regioni più virtuose. Andremo di sicuro più veloce se corriamo nella stessa direzione.