Elementi come il litio e le terre rare sono alla base della transizione ecologica e dell'indipendenza energetica europea, ma i rischi associati alla loro fornitura ne fanno dei sorvegliati speciali. Ecco cosa sta facendo l’Europa e l’Italia per non perdere il treno della decarbonizzazione
(Rinnovabili.it) – “L’Europa ha bisogno di diverse materie prime critiche per guidare la transizione verde e digitale e rimanere il primo continente industriale a livello mondiale. Non possiamo permetterci di dipendere completamente da paesi terzi o addirittura da un unico paese, come nel caso di alcune terre rare”. Con queste parole, a settembre 2020 il commissario europeo per il Mercato InternoThierry Breton presentava il primo grande piano d’azione comunitario sulle “Critical Raw Materials – CRM”, una strategia in 10 punti modellata sul previsto fabbisogno dell’Ue al 2030 e al 2050.
Un piano che è stato aggiornato e potenziato nel 2023, con la proposta da parte della Commissione Europea, il 14 marzo 2023, del CRMA, “Critical Raw Materials Act“ al quale si sono aggiunti un’alleanza di parti interessate e una serie di progetti di ampia portata.
Cosa sono le materie prime critiche?
Le materie prime critiche sono quelle risorse primarie indispensabili, con le attuali tecnologie, dalla cui importazione dipende la maggior parte dei paesi consumatori, e la cui offerta è dominata da uno o pochi Paesi produttori.
L’Unione Europea le monitora attentamente da una decina d’anni, e dal 2011, con una cadenza triennale, l’esecutivo UE stila un elenco di questi materiali basato sia sull’importanza economica che sulla sicurezza dell’approvvigionamento (relativamente all’ estrazione e/o lavorazione). Per entrare nella lista, dunque, devono avere un alto valore aggiunto, essere essenziali a livello manifatturiero/produttivo, provenire da fonti geograficamente concentrate o essere di difficile reperimento. L’ultima valutazione, effettuata proprio quest’anno su 70 materiali candidati, ha individuato 34 materie prime critiche.
L’elenco comprende il Litio, la Grafite, il Silicio metallico, e risorse “meno famose” ma altrettanto essenziali, come lo Scandio o la Barite e tutti gli elementi delle Terre Rare. L’UE deve importare quasi tutti questi materiali, anche se con quote differenti: la Cina ad esempio fornisce all’UE il 98% delle terre rare, la Turchia il 98 % del borato e il Sudafrica soddisfa da solo il 71 % del fabbisogno europeo di platino dell’UE, e una percentuale persino maggiore di metalli del gruppo del platino come iridio, rodio e rutenio.
Dell’elenco fanno parte anche rame e nichel, la Commissione europea ha reso più esaustiva la lista, aggiungendo e inquadrando quelle che, con il CRMA del 2023, sono definite “materie prime strategiche”, ossia risorse ritenute espressamente rilevanti per le transizioni verde e digitale. Nel dettaglio delle 34 voci dell’elenco, 16 sono strategiche per il processo di decarbonizzazione del Vecchio Continente, tra cui Cobalto, Rame, Gallio, Germanio, Litio, Magnesio metallico, Manganese, Nichel, i metalli del gruppo del Platino ed elementi delle Terre Rare.
Va però ricordato che la concentrazione delle fonti per questi materiali non è poi così diversa da quel che accadeva, e accade ancora oggi, per le fonti dei combustibili fossili, carbone, petrolio e gas, anch’esse molto localizzate. Con la differenza che, come vedremo, da un lato il miglioramento delle tecnologie (e il riciclo, con le c.d. materie prime seconde), dall’altro la prospezione mineraria, anche in ambito europeo, possono cambiare sensibilmente il quadro, riducendo la dipendenza dalle fonti extra-UE.
Il ruolo delle materie prime critiche nella transizione energetica
Ma cosa c’entrano le materie prime critiche con la transizione energetica? E perché sono considerate un fattore determinante per il futuro a zero emissioni dell’Unione? Semplice: sono tutti ingredienti chiave delle tecnologie verdi.
Un primo esempio, più familiare, è quello del Litio, che, oltre ad essere componente essenziale delle batterie ricaricabili, da quelle piccole inserite nell’elettronica di consumo a quelle dei veicoli elettrici, è indispensabile per i sistemi di energy storage di impianti eolici o fotovoltaici.Nella tecnologia Li-ion – la più diffusa per le batterie ricaricabili – questo metallo è presente nell’elettrolita sotto forma di sali di Litio uniti a solventi organici e nel catodo in diverse composizioni: NMC (litio- ossido di litio-cobalto), LCO (ossido di litio-cobalto), LFP (fosfato di litio-ferro), LMO (ossido di litio-manganese) e NCA (ossido di litio-nichel-cobalto-alluminio).
Da dove arriva il Litio? Attualmente da due fonti principali: miniere e salamoie. E mentre le prime scarseggiano, le seconde si concentrano in aree soggette a forte evaporazione, come i deserti elevati del Sud America, i cui depositi risultano più difficili da trattare. Anche in Italia, nel Lazio, recenti rilevamenti hanno scoperto giacimenti in aree vulcaniche come il Lago di Bracciano.
Materia prima strategica è il silicio metallico che, lavorato ad alto livello di purezza, viene trasformato in polisilicio, fondamentale per le celle fotovoltaiche utilizzate nei moduli fotovoltaici di ultima generazione: ma in questo caso si tratta di una risorsa abbondante sulla crosta terrestre, in forma di minerali silicati come la quarzite, e non pone alcun problema di scarsità.
Altro esempio è quello delle Terre Rare, un gruppo di 17 metalli utilizzati in varie applicazioni high-tech, dagli smartphone ai macchinari per la risonanza magnetica. Nonostante il nome (Terre Rare) possa trarre in inganno, nel mondo esistono sufficienti risorse per soddisfare tutte le esigenze della transizione energetica. La sfida principale in questo caso consiste nella loro concentrazione geografica e nelle attività di estrazione e lavorazione lungo l’intera catena del valore. Sebbene l’Unione Europea sia leader a livello mondiale nella fabbricazione di prodotti come i motori elettrici e le turbine eoliche, non possiede Terre Rare. La domanda totale di questi elementi, ad esempio, per la produzione di magneti, è soddisfatta al 100% dalle importazioni cinesi.
Alcuni elementi di questa famiglia sono indispensabili per le tecnologie green: Neodimio, Praseodimio, Disprosio e Terbio sono fondamentali per la produzione dei magneti permanenti utilizzati nei veicoli elettrici e nelle turbine eoliche, prevalentemente offshore, mentre Europio, Terbio e Ittrio vengono invece impiegati nell‘illuminazione fluorescente ad alta efficienza energetica.
Materie Prime Seconde, le risorse nascoste nei nostri rifiuti
L’Europa non può rinunciare ad un accesso affidabile e senza ostacoli alle materie prime critiche, ecco perché la Commissione ha presentato una strategia in 10 punti, da implementare entro il 2025. Si tratta di un piano molto articolato, che comprende programmi di telerilevamento e osservazione della Terra, per l’esplorazione delle risorse; progetti di R&I per lo sfruttamento e la lavorazione di materie prime critiche; sviluppo di competenze e capacità nelle tecnologie minerarie. Importante è, soprattutto, la mappatura del potenziale approvvigionamento di materie prime seconde critiche dagli scarti e dai rifiuti.
L’economia circolare può contribuire in maniera importante a riallineare tra domanda e offerta delle CRM nei Paesi europei, in primis con il riciclo dei prodotti tecnologici dismessi, meglio noti come RAEE (Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche), e degli scarti estrattivi. Una recente analisi della Cassa Depositi e Prestiti ha stimato che, già soltanto con il trattamento delle batterie auto esauste, l’Unione potrebbe soddisfare entro il 2040 oltre la metà della domanda di Litio (52%) e di Cobalto (58%) per la mobilità elettrica.
Ma per valorizzare i rifiuti e le cosiddette “miniere urbane” servono tecnologie ad hoc, e obiettivi che spronino l’industria, le autorità, la ricerca e la società civile. Va in questa direzione il nuovo Critical Raw Materials Act, con cui l’Europa punta a rafforzare la sua indipendenza nelle filiere industriali più sensibili, stabilendo precisi parametri di riferimento lungo la catena del valore delle materie prime strategiche, e per la diversificazione degli approvvigionamenti dell’UE. La proposta infatti prevede che entro il 2030, con riferimento al fabbisogno annuo dell’UE:
- l’estrazione e produzione nell’Unione arrivi almeno al 10% del fabbisogno;
- le attività di trasformazione nell’UE coprano almeno il 40% del fabbisogno, valore poi aumentato al 50%;
- il riciclo nell’UE soddisfi almeno il 15% del fabbisogno, percentuale poi innalzata al 45%;
- non più del 65% del fabbisogno di ciascuna materia prima strategica, in qualsiasi fase rilevante della trasformazione, provenga da un singolo paese terzo.
Stanno poi nascendo progetti, in fase pilota, ma interessati, nel campo delle Terre Rare: è il caso iniziative come RARE, nata per recuperarle dai RAEE. Il progetto – condotto da un gruppo di giovani ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca – è al lavoro su un processo selettivo e reversibile, in grado di catturare tali elementi dai rifiuti elettronici in maniera sostenibile e a basso costo.
Il reshoring
Ma per mitigare i rischi di approvvigionamento per l’ UE, sul fronte della transizione energetica, non ci si può limitare alle materie prime: infatti, la pandemia COVID-19 prima, e la guerra in Ucraina poi, hanno evidenziato le vulnerabilità delle catene del valore globali, e la necessità di diversificarle e rafforzarle.
Per l’Europa, e per il suo percorso di indipendenza energetica, questo significa puntare anche sul reshoring, cioè a riportare, dai siti produttivi extra-UE, la produzione e/o l’assemblaggio di fabbricazione di componentistica ed equipment green nei Paesi d’origine, da cui erano state precedentemente delocalizzate (offshoring). Uno sforzo di politica industriale per contrastare il rischio oligopolistico e la dipendenza da Paesi terzi, migliorando nel contempo il controllo della qualità e aumentando le opportunità di lavoro interno.
La rilocalizzazione della produzione industriale è di vitale importanza per quasi tutti gli ingredienti della transizione ecologica, dai pannelli solari alle batterie: basti ricordare che nel 2022 l’Europa ha registrato una domanda di moduli fotovoltaici di 49 GW, volumi che la rendono il secondo mercato al mondo dopo la Cina, un fabbisogno di cui ben il 90% è stato soddisfatto proprio con prodotti cinesi.
Ma qualcosa sta cambiando. Con il piano industriale Green Deal, presentato a inizio anno, l’esecutivo UEha definito una serie di misure per guidare l’Europa nella transizione ecologica, rilanciando le filiere produttive nel perimetro dell’Unione. Tra queste la nuova legge sull’industria a zero emissioni nette, finalizzata a supportare i progetti strategici europei: il provvedimento mira ad accrescere, entro il 2030, la capacità dell’UE nella produzione delle tecnologie verdi, come pannelli solari, turbine eoliche, fuel cell, pompe di calore, etc., fino ad almeno il 40% del fabbisogno.
Un aiuto in questo senso arriva anche da strumenti finanziari, come il Fondo europeo per l’innovazione. Nel 2022 l’UE ha stanziato, con il terzo ciclo di incentivi del Fondo, 1,8 miliardi di euro per 17 progetti innovativi su larga scala, nel campo delle tecnologie pulite: si tratta di un primo contributo allo sviluppo di tecnologie per la fabbricazione di moduli fotovoltaici su larga scala (gigafactory), lo stoccaggio energetico e il riciclaggio delle batterie.
In collaborazione con Enel Green Power