La filiera della moda, uno dei settori più energivori ed inquinati, è in ritardo di otto anni rispetto agli obiettivi imposti dall’Unione europea per la sostenibilità. Ciò emerge dal Report “Just Fashion Transition 2024”. Nell’ambito del Venice Sustainable Fashion Forum abbiamo incontrato Carlo Cici, Partner di The European House Ambrosetti, ed uno degli autori del Report, per capire meglio l’attuale situazione del settore e le possibili percorsi da intraprendere.
Quali sono dott. Cici, nel concreto, le soluzioni che il settore deve adottare per invertire questa tendenza?
Allora, partiamo dal presupposto che questa debolezza delle aziende italiane ed europee nasce da una debolezza intrinseca del settore. Dal punto di vista economico e finanziario, quindi queste sono aziende che guadagnano poco; anzi, più piccole sono, meno guadagnano, più sono indebitate e minor capacità finanziaria hanno.
E ciò è dovuto a una logica di mercato oppure a delle scelte?
Questa è una logica di mercato. È stato un settore che, evidentemente, nel passato ha dato maggiore marginalità, spingendo anche i piccolissimi a intraprendere iniziative, portando a una soddisfazione economica. Bene, quel mercato è tendenzialmente finito e la crisi che stiamo vivendo, anche per la sua lunghezza, ci indica il bisogno urgente di ripensare il settore. Quindi il problema non è tanto quello di affrontare il tema esclusivamente finanziario: mettere 24 miliardi da qui al 2030 in Europa non è un investimento significativo. 24 miliardi è una finanziaria e se la splittiamo in sei anni, e in tutti i paesi, sembrerebbe una soluzione percorribile. Il problema è che ai più piccoli imprenditori i soldi non arrivano.
Bisogna riuscire a rendere competitive le piccole aziende in quanto non potranno mai essere sostenibili se prima non saranno in salute o per lo meno vive.
Perché 24 miliardi non arrivano mai ai più piccoli?
Perché ai più piccoli sfugge la marginalità. Arrivano addirittura alla fine dell’anno con un margine lordo del 7%, e al margine lordo devi togliere ancora dei costi, alcune remunerazioni, le tasse, e quindi forse riesci a stare sul mercato galleggiando. Ma questo galleggiamento, presuppone investimenti, soprattutto di fronte ai due grandi processi di trasformazione: quello della sostenibilità e quello digitale, che richiedono tecnologie per essere realizzati.
La soluzione?
Dobbiamo aiutare le piccole aziende ad unirsi, trovando convenienza nell’aggregazione, con un primo obiettivo che è quello economico. Quando queste avranno una maggiore solidità, allora potranno sicuramente diventare più competitive e investire anche su obiettivi di sostenibilità. In Italia ci sono delle aggregazioni di aziende che stanno funzionando molto bene, anche in questo settore. Quello che è ben dimostrato è che all’aumentare della scala dell’azienda aumenta la produttività e la marginalità.
Quindi, il problema dell’innovazione tecnologica, sia verso obiettivi ambientali che di digitalizzazione, è più che altro risolvibile con un fattore di scala?
Ma certo. Le faccio un esempio: se dovessimo migliorare l’efficienza energetica per ridurre i consumi in azienda, dovremmo affrontare un lungo e oneroso procedimento tecnico per arrivare alla soluzione finale. Ma anche in presenza di processi più diversificati, in aziende particolarmente diverse, i processi che determinano il consumo di energia sono sempre gli stessi. Quindi potremmo accedere a tecnologie già mature, risolvendo il 70% dei problemi con un approccio generale e immediato. Per il restante 30% si tratta di problematiche da risolvere in modo specifico e approfondito.
Un tema importante per la sostenibilità è anche la provenienza della fonte, cioè la qualità della materia prima; è possibile creare un meccanismo che possa tutelare il consumatore sulla sua qualità?
Da uno studio che abbiamo realizzato lo scorso anno, siamo giunti alla conclusione che non esistono materie veramente sostenibili. Dipende da numerosissimi fattori, quindi non è così semplice affermare che la fibra naturale sia più sostenibile di quella non naturale. Al momento, nessuno può affermarlo.
Il tema della rigenerazione, su cui avete basato il Forum di quest’anno, presuppone un profondo cambiamento: si parla di capitale umano, di quadro normativo, di innovazione tecnologica, di trasformazione digitale e di tracciabilità del prodotto. Questi fattori concorrono in modo orizzontale a questo profondo cambiamento o ci sono delle priorità?
Ci sono innanzitutto delle soluzioni interne – che può gestire il settore – e soluzioni che vengono dall’esterno. Parliamo, ad esempio, dell’energia: problema che assilla il settore. Se in Italia avessimo la possibilità di produrre e offrire alle aziende energia a un costo minore, sarebbe una soluzione esterna, ma che incide in modo più profondo di qualsiasi altra scelta. Poi ci sono le soluzioni interne, come quelle sull’efficienza energetica, che sono facilmente praticabili, con un margine di manovra non trascurabile e ritorni economici rapidi. Ma ripeto il mio solito mantra: occorre prima avere un bilancio sano per investire, anche se si tratta di obiettivi virtuosi.