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Sviluppati tessuti tecnici auto-raffreddanti in polietilene

Una nuova ricerca del Politecnico di Torino e del Massachusetts Institute of Technology (MIT) mostra come rederendere le microfibre sintetiche più performanti e più sostenibili di quelle naturali.

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Credits: Felice Frankel, Christine Daniloff, MIT

I tessuti tecnici in polietilene possono essere sostenibili?

(Rinnovabili.it) – Anche i tessuti sintetici posso dare una mano alla sostenibilità del settore abbigliamento. Ne sono convinti alcuni scienziati a valle di uno studio sulle potenzialità del polietilene nella produzione di stoffe e capi di vestiario.

Il polietilene è uno dei polimeri più comuni tra le plastiche. Oggi viene impiegato in un’ampia gamma di settori, dagli isolanti elettrici ai sacchetti della spesa. Di origine prevalentemente fossile (se si esclude la versione bio prodotta dalla canna da zucchero), questa resina termoplastica difficilmente viene associata ad un’immagine di sostenibilità. Soprattutto in ambito tessile dove, a causa della capacità di bloccare il passaggio dell’acqua, renderebbe le stoffe non traspiranti.

Un gruppo di ricercatori provenienti dal Politecnico di Torino e dal Massachusetts Institute of Technology (MIT), negli Stati Uniti, ha trovato un modo per ribaltare questa convinzione. Il team ha filato il polietilene in fibre e filati progettati per eliminare l’umidità. Calcolando anche l’impronta ecologica derivante.

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Nel dettaglio la ricerca si è focalizzata su processi di fabbricazione standard e sulla modellazione computazionale chimico-fisica delle microfibre. I ricercatori hanno iniziato con il polietilene nella sua forma di polvere grezza, estrudendolo in fibre sottili a loro volta raggruppate – attraverso un secondo estrusore – in un filato tessibile.

Questo processo lascia tra le microfibre una sorta di capillari, spazi dove le molecole d’acqua possono essere assorbite passivamente. Per ottimizzare la capacità di traspirazione, gli scienziati hanno modellato le proprietà delle fibre rispetto un diametro e un allineamento preciso, in grado di aumentare tale caratteristica. Quindi attraverso un telaio industriale hanno prodotto un tessuto, testandone la capacità di traspirazione in confronto ad altre fibre, naturali e sintetiche.

In ogni test, i tessuti in polietilene hanno assorbito ed fatto evaporare l’acqua più velocemente non solo del cotone ma anche di nylon e poliestere. “Agendo sul processo di fabbricazione, è possibile modificare le caratteristiche chimiche superficiali e la forma delle fibre, controllando la bagnabilità e le proprietà capillari finali del tessuto, ossia la sua capacità di assorbire e trasportare un fluido al suo interno”, spiega Matteo Alberghini, dottorando presso il Dipartimento Energia e il CleanWaterCenter del Politecnico di Torino, primo autore dell’articolo pubblicato. “Le ottime prestazioni raggiunte dal nuovo tessuto studiato sono dovute alla capacità delle fibre di polietilene di trascinare l’acqua sulla loro superficie pur rimanendo impermeabili, quindi impedendo al fluido di insinuarsi all’interno delle fibre stesse”.

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“Nel caso di capi d’abbigliamento – continua Alberghini – ciò consente al sudore di essere efficacemente allontanato dalla pelle ed evaporare velocemente, dando un confortevole effetto di fresco sulla pelle. Avere tempi di asciugatura rapidi è inoltre importante per garantire l’igiene del materiale: bassi tempi di permanenza dell’acqua nel tessuto prevengono l’insorgenza di colonie batteriche o muffe, allontanando così i cattivi odori. La combinazione di queste proprietà rende questa nuova tipologia di tessuti lavabili e asciugabili a bassa temperatura, evitando l’insorgenza di macchie e garantendo rapidi tempi di asciugatura”. 

Il team ha trovato anche un modo per incorporare il colore nei tessuti tecnici in polietilene, aggiungendo il colorante alla polvere, prima dell’estrusione. In questo modo, spiega Svetlana Boriskina, ricercatrice del Dipartimento di Ingegneria Meccanica del MIT, “non abbiamo della tradizionale tintura tramite immersione in soluzioni di prodotti chimici aggressivi”.

Tenendo conto delle proprietà fisiche del polimero e dei processi necessari per realizzare e colorare i tessuti, secondo la ricerca sarebbe necessaria meno energia rispetto all’impiego di poliestere o cotone. “Il polietilene ha una temperatura di fusione più bassa, quindi non è necessario riscaldarlo tanto quanto altri materiali polimerici sintetici per produrre filati”, aggiunge Boriskina. E la sua sintesi rilascia anche meno gas serra e calore di scarto rispetto a poliestere o nylon.

“Il cotone, invece richiede anche molta terra, fertilizzante e acqua per crescere ed è trattato con sostanze chimiche aggressive […] a conti fatti la produzione di tessuti colorati in polietilene ha un impatto ambientale inferiore del 60% rispetto a quelli in cotone”. E anche in fase di utilizzo i nuovi tessuti tecnici potrebbero avere un minore impatto ambientale richiedendo minore energia per il lavaggio e l’asciugatura.

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Gli ingegneri sperano che i risultati ottenuti possano possano fornire un incentivo a riciclare buste di plastica e altri prodotti in polietilene in tessuti indossabili, aumentando la sostenibilità del materiale. “Una volta che qualcuno lancia un sacchetto nell’oceano, è un problema”, commenta Boriskina. “Ma quei rifiuti potrebbero essere facilmente riciclati. E se puoi trasformare il polietilene in una scarpa da ginnastica o una felpa con cappuccio, avrebbe senso dal punto di vista economico raccoglierli e riciclarli“. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Nature Sustainability.