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Tessuti smart per abiti che producono energia

Luana Persano, ingegnere del CNR e specializzata in nanotecnologie, spiega come le ricerche in materia di tessuti capaci di produrre elettricità siano ormai ad un punto di svolta: "L'Italia, grazie alle sue eccellenze tessili, potrebbe diventare uno dei principali attori del settore"

Luana Persano (1)

 

Numerosi laboratori in tutto il mondo stanno concentrando i propri sforzi nella realizzazione di tessuti capaci di generare energia elettrica: i raggi solari, la pressione di vento o pioggia, gli sbalzi termici sono alcune tra le fonti da cui le equipe di studiosi stanno cercando di ottenere il miglior apporto energetico. Ma un futuro in cui, per uscire di casa, indosseremo una giacca che ricarica il tablet o un paio di pantaloni in cui inserire lo smartphone scarico per ritrovarlo poche ore dopo completamente ricaricato è davvero possibile? E quanto dovremo aspettare per poter usufruire di simili invenzioni?
Per fare il punto della situazione, abbiamo intervistato la dottoressa Luana Persano, ingegnere del Cnr, a capo del progetto di ricerca che, nel 2013, portò alla produzione del primo tessuto con proprietà piezoelettriche (cioè che produce energia grazie alla pressione, anche minima, esercitata su di esso) ottenuto tramite nanofilatura.

 

Ingegner Persano, quali sono i reali campi d’applicazione delle ricerche sui tessuti capaci di produrre energia? Parliamo davvero dei capi di vestiario da usare ogni giorno o puntate ad applicazioni più specifiche e distanti dalla quotidianità?

Il punto di forza dei vestiti ad alto contenuto tecnologico, inclusi quelli che si doteranno di componenti e materiali atti alla raccolta dell’energia, è che vengono indossati quotidianamente. In altre parole, il vestiario è una nostra seconda pelle, un rivestimento del nostro corpo che può essere reso funzionale in modo da interagire con tutti gli altri dispositivi con cui entriamo in stretto contatto durante le nostre giornate. Verso l’esterno del nostro corpo, ed è il caso appunto di smartphone e tablet, ma anche, ed è forse l’aspetto tecnologicamente più impegnativo ma che può avere il maggiore impatto in prospettiva, nei confronti dei dispositivi, come quelli biomedicali, che a vario titolo trasportiamo con noi, inclusi quelli impiantabili. Le problematiche di sicurezza, comunicazione –anche wireless – tra le diverse classi di dispositivi, standardizzazione ecc., sono naturalmente rilevanti, ma è una direzione di sviluppo scientifico certamente interessante a cui volgere lo sguardo in prospettiva.

 

Quanto bisognerà aspettare per vedere in produzione i primi capi di vestiario del genere?

Probabilmente pochi anni. A livello internazionale si sta già lavorando su prototipi di tessuti in grado di produrre energia elettrica in diversi laboratori. I meccanismi maggiormente studiati consistono nella realizzazione di fibre high-tech agganciate ad opportuni elettrodi, che possano generare elettricità mediante effetto fotovoltaico (dunque esposti ad irraggiamento solare) oppure piezoelettrico (dunque a partire dal micro-movimento). Naturalmente, per passare alle applicazioni reali è indispensabile che i laboratori di ricerca s’interfaccino con le industrie tessili e della moda, studiando insieme le prestazioni a cui questi nuovi tessuti possono aspirare in termini di durata, resistenza, traspirazione, e maneggevolezza.

 

 

Cosa offre il panorama italiano in questo settore? Quale il ruolo e le prospettive dei nostri centri di ricerca nello sviluppo di simili tecnologie?

Nel settore tessile abbiamo una tradizione secolare, e convertire alcuni di questi segmenti ad applicazioni ad alta tecnologia sarebbe prezioso per la nostra economia. Nel nostro laboratorio, grazie al progetto NANO-JETS finanziato dall’European Research Council abbiamo realizzato fibre piezoelettriche molto promettenti, le cui prestazioni di generazione di energia elettrica sono state poi caratterizzate negli Stati Uniti. Più in generale, in Italia la realizzazione di fibre di ultima generazioni è all’avanguardia, con numerosi gruppi di ricerca
attivi a Bologna, Milano, Biella, Napoli ed in altre università. La vicinanza tra industria della moda e centri di ricerca potrebbe porre l’Italia all’avanguardia nel settore, e le nuove tecnologie di sviluppo industriale 4.0 potrebbero rappresentare un’occasione ulteriore in questo senso. Stampa 3D e tessile high-tech hanno, ad esempio, molte potenzialità per integrarsi in nuovi prodotti. Si tratta di fare sistema il più possibile, scommettendo sulle eccellenze vere che abbiamo in Italia nei settori dei nuovi materiali.