Legare la classificazione del territorio alla vulnerabilità dell’edificio, trasformare le debolezze in un aiuto per formulare le linee guida di intervento: ecco come possiamo ricostruire il nostro Paese
E la terra trema, ancora e ancora, lasciando una cicatrice sempre più profonda nel nostro territorio sia a livello geomorfologico, sia architettonico e sociale.
I recenti terremoti che hanno colpito il nostro Paese hanno reso evidente la fragilità dei centri storici italiani, dandoci quella consapevolezza necessaria troppo a lungo negata. Una consapevolezza, pagata anche a caro prezzo con la vita di numerose persone: l’Italia è un Paese naturalmente sismico e il patrimonio edilizio storico non è in grado di sopportare eventi anche solo di media intensità. I rischi intrinseci propri di un territorio come il nostro, ricco di storia e di edifici storici, non potranno mai essere nulli soprattutto nell’Appennino, nelle zone più povere e rurali, dove si costruiva con pietrame sbozzato e malta povera di calce. Erano perciò inevitabili danni e crolli che l’edificato ha subìto.
La classificazione sismica del territorio italiano è strumento fondamentale per la definizione della pericolosità del sito. Di fatto nessun luogo nella Penisola può ritenersi realmente sicuro da eventi sismici dalle conseguenze importanti. Con i più recenti terremoti abbiamo imparato molto sulla gestione dell’emergenza, ma poco è stato fatto per la prevenzione. Da qualche anno si proroga una norma per favorire l’adeguamento antisismico. Ma per far comprendere e aiutare la norma a funzionare meglio si potrebbe concedere il massimo delle agevolazioni a chi ha un immobile altamente vulnerabile, legando la classificazione del territorio alla vulnerabilità dell’edificio.
Non possiamo pensare di chiudere i nostri centri storici, solo perché a elevato rischio e tantomeno costringere i cittadini ad autonomi, isolati e costosi interventi di adeguamento sismico. Anche se è difficile definire i criteri di sicurezza e gli obblighi di intervento, occorre stabilire procedure che portino ad un miglioramento della sicurezza.
La ricostruzione e l’adeguamento necessitano di un progetto che parta dal territorio. L’oggetto della ricostruzione consiste adesso nel “ricostruire com’era dov’era” restituendo agli abitanti dei territori colpiti dai terremoti i loro luoghi, oltre che le loro case. Un’identità importante e necessaria che passa per il corso, i vicoli, la chiesa, il municipio e il bar sulla piazza che aggrega giovani e anziani alle diverse ore del giorno, e più in là il territorio geografico con le colline, le valli, i fiumi, i frutteti, lo skyline dei crinali e la storia che ha condotto in quelle zone gli insediamenti.
L’intervento di ricostruzione dovrà tenere conto di quelle matrici generatrici di un’identità territoriale che non può e non deve essere cancellata, mediante impianti che rispettino i precedenti tracciati. Tutte le debolezze manifeste, che i sismi hanno evidenziato nei diversi territori, dalle vie di comunicazione a costoni di montagna franosi, devono essere di aiuto per la formulazione di linee guida di intervento. Il recupero degli insediamenti deve essere anche progetto di sviluppo culturale. Analizzando i tessuti urbani e le matrici storiche si può ricostruire o risanare gli edifici colpiti dai terremoti, partendo dalla lettura del processo di trasformazione dell’insediamento e eliminando tutte quelle superfetazioni nocive alle strutture stesse. Integrare i servizi mancanti, ammodernare e riqualificare l’urbanizzazione primaria.
Il recupero abitativo e l’assistenza post-sisma non sono un problema meramente tecnico. Le indagini devono prevedere gruppi di lavoro misti per far si che non si tenga solo conto del problema strutturale, funzionale e storico-monumentale, ma si valutino anche gli aspetti di carattere ambientale e socio-economico legati ai manufatti, alle attività produttive e al territorio.