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La Repubblica Ceca minaccia il Green New Deal

La Repubblica Ceca minaccia di mettere il veto all'obiettivo europeo sulla neutralità climatica, a meno che non aumenti la disponibilità dei fondi statali per l'energia nucleare. Quello del nucleare, però, sembra lo spauracchio per ottenere in cambio un finanziamento europeo significativamente maggiore per la transizione energetica.

Green New Deal
Credits: Zeleni

Per paesi come Repubblica Ceca e Polonia, il nucleare potrebbe diventare l’ago della bilancia per il via libera al Green New Deal.

 

(Rinnovabili.it) – Il primo ministro ceco Andrej Babiš ha minacciato di porre il veto al Green New Deal e all’obiettivo della Commissione Europea di diventare il primo continente climaticamente neutrale entro il 2050, aggiungendo la sua voce a un crescente coro di malcontento che emerge proprio nel momento in cui i leader dell’UE si preparano al vertice di Bruxelles che si terrà la prossima settimana.

 

In una lettera al presidente della Commissione Ursula von der Leyen, Babiš ha affermato che la sua posizione rispetto al Green New Deal potrebbe cambiare solo a fronte di un maggiore sostegno finanziario dell’UE e di migliori condizioni di investimento per l’energia nucleare. Infatti, gli investitori privati diventano sempre più riluttanti nel finanziare nuove centrali atomiche, sia per i costi relativi alla sicurezza, sia per la crescente concorrenza delle fonti rinnovabili, e l’energia nucleare sta così diventando sempre più dipendente dal sostegno statale. Per tale ragione, come sostiene Babiš nella lettera indirizzata a von der Leyen e riportata da Euroactiv, “la costruzione di centrali nucleari potrebbe richiedere cambiamenti nelle norme sugli aiuti di Stato”.

 

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Il finanziamento di nuovi progetti di energia nucleare non è solo un problema ceco, ma anche polacco, uno degli ultimi paesi UE che si oppone all’obiettivo di neutralità climatica. All’ultimo vertice UE di ottobre, la Polonia ha infatti chiesto importi “significativamente maggiori” di finanziamenti nell’ambito del prossimo bilancio a lungo termine dell’UE, prima di poter firmare l’obiettivo del 2050.

 

Ma, a quanto pare, la resistenza non riguarda solo i governi, ma anche le autorità locali, alcune delle quali ritengono che gli obiettivi proposti dal Green New Deal europeo rischino, di fatto, di essere non realistici per il 2030. Ad esempio, secondo Cor Lamers, sindaco olandese che presiede la Commissione ambientale del Comitato delle regioni (organo consultivo dell’UE), il taglio del 50-55% dei gas serra previsto dalla nuova Commissione rischia di danneggiare le imprese locali.  Secondo Timmermans, ministro europeo per il clima, ad essere realistica è proprio la crisi climatica, e altrettanto lo è il fatto che se l’Europa non dovesse agire per prima in questa direzione rischierebbe di ritrovarsi dipendente dalle tecnologie estere.

 

Tuttavia, un fondo di transizione progettato per aiutare le regioni più colpite dalla transizione energetica è considerato fondamentale per convincere gli Stati membri riluttanti a firmare l’obiettivo del 2050 definito dal Green New Deal. A questo proposito, lo stesso Timmermans ha suggerito che il fondo potrebbe essere potenziato al fine di conquistare paesi come la Polonia e la Repubblica Ceca. Nel frattempo, però, anche la sfida sulla nuova tassonomia delle finanze sta portando scompiglio anche nel mondo delle banche, che reclamano il bisogno di adeguate riserve di capitale per i rischi finanziari.

 

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