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Gas e nucleare fuori dalla tassonomia verde UE (per il momento)

Il testo sarà disponibile il 21 aprile. La Commissione ha deciso di cambiare approccio. Prima i punti meno spinosi, solo a fine 2021 invece i dossier del gas e del nucleare

Tassonomia verde UE: Bruxelles prende tempo su gas e nucleare
Foto di LEEROY Agency da Pixabay

La Commissione pubblicherà una tassonomia verde UE ‘monca’ in attesa di sciogliere i nodi più problematici

(Rinnovabili.it) – L’ennesimo disaccordo tra Commissione europea e paesi membri rischia di far saltare il banco sulla tassonomia verde UE. Così sarà pubblicato ‘monco’ il documento che determina quali investimenti saranno considerati sostenibili e quali no dall’esecutivo che ha come priorità la torsione verde del continente. Almeno per il momento restano fuori dalla bozza i temi più scottanti: gas e nucleare.

L’odissea della tassonomia verde UE è iniziata con le migliori intenzioni della Commissione. Una prima bozza durissima sul gas, con parametri che avrebbero fatto perdere alla fonte fossile quella patente di energia di transizione su cui l’industria – e buona parte dei paesi europei, soprattutto nell’est Europa – sta invece puntando da tempo. Da qui la prima levata di scudi.

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I paesi dell’Europa orientale vogliono il gas per rimpiazzare il carbone, quindi hanno puntato i piedi e rispedito al mittente la proposta dell’esecutivo di Ursula von der Leyen. Che ha rimesso mano al testo trovando una posizione di compromesso. La prima versione della tassonomia verde UE metteva un limite preciso di emissioni per gli impianti a gas: 100 g di CO2e/kWh. Abbastanza basso da squalificare tutte le centrali esistenti oggi sul continente. E un problema avvertito soprattutto in est Europa, dove per dire addio al carbone gli Stati puntano su centrali a gas che però emettono tra i 300 e i 350g di CO2e/kWh.

La versione riveduta e corretta del documento lasciava dei colli di bottiglia importanti per spronare gli Stati a investire sul serio nella transizione, anche se ammorbidiva altri criteri. Luce verde per gli impianti di cogenerazione (con produzione combinata di energia termica) o trigenerazione (energia frigorifera) a gas, ma a patto che sostituiscano una centrale alimentata a fonti fossili e ad alta emissività. La bozza non fissava una soglia rigida per le emissioni di queste nuove centrali a gas, ma stabiliva come criterio che gli impianti devono tagliare del 50% le emissioni rispetto a quelli che vanno a sostituire. Non solo. I nuovi impianti a gas sarebbero ritenuti sostenibili solo se operativi entro il 2025, con possibilità di utilizzare combustibili low-carbon, e se emetteranno comunque meno di 270 g di CO2e/kWh.

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Condizioni inaccettabili per l’est Europa, che ha minacciato ancora di mettere il veto. Così il testo che sarà pubblicato il 21 aprile non conterrà la parte sul gas. “La Commissione intende presentare una proposta legislativa separata nel quarto trimestre del 2021, specificatamente riguardante il modo in cui alcune attività economiche, principalmente nel settore energetico, contribuiscono alla decarbonizzazione”, si legge in un progetto di proposta della Commissione ottenuto dal portale Euractiv.

Stessa sorte riguarderà il capitolo sul nucleare. Il destino dell’energia dall’atomo lo avrebbe in teoria deciso il Jrc, il centro studi in-house della Commissione. Che ha dato l’ok al nucleare perché non infrange il principio di precauzione di cui sono innervati i trattati UE. E sul nucleare puntano tanto i paesi dell’Est (ancora all’anno zero in materia) quanto la Francia (che dall’atomo ricava la fetta più grande del suo mix elettrico). Ma non tutti a Bruxelles sembrano convinti di questa strada.

Novità anche sul fronte bioenergia, che non è più qualificata come energia di transizione ma i cui criteri specifici saranno precisati a giugno, in parallelo con il processo di revisione della direttiva RED (Renewables energy directive). Per quanto riguarda le foreste, il limite di superficie oltre il quale vengono inserite nella tassonomia verde UE è fissato a 25 ettari. Troppo alto, dicono i critici, perché lascia fuori i 2/3 degli appezzamenti europei, che hanno un’estensione media di 13 ettari. Valore su cui si dovrebbe tarare anche la proposta.