L’intervento del segretario esecutivo dell’Unfccc fissa i paletti entro i quali si dovrebbero muovere le discussioni in vista della conferenza sul clima di fine anno. Simon Stiell fissa l’obiettivo minimo a 2.400 mld $ l’anno entro il 2030, accompagnati da una riforma dell’architettura finanziaria globale, attenzione a non sottrarre risorse ai fondi per lo sviluppo e a non creare nuove trappole del debito
La Cop29 deciderà forma e contenuti della finanza per il clima post 2025
(Rinnovabili.it) – Almeno 2.400 miliardi di dollari l’anno entro il 2030. Al netto dei contributi che potrebbero arrivare dalla Cina. È da questa cifra che dovrebbero partire i negoziati sulla finanza per il clima post 2025 alla Cop29 di Baku. Lo ha detto Simon Stiell, segretario esecutivo della Convenzione quadro Onu sul cambiamento climatico (Unfccc): è la prima presa di posizione forte su quello che diventerà il tema più caldo della prossima conferenza sul clima.
“Dobbiamo trascorrere l’anno lavorando collettivamente per far evolvere il nostro sistema finanziario globale in modo che sia adatto allo scopo, con un piano chiaro per attuare in modo significativo la transizione climatica”, ha detto Stiell, puntualizzando che “per realizzare questa transizione abbiamo bisogno di soldi, e in abbondanza”.
La finanza per il clima post 2025 ha bisogno di 2.400 mld $ l’anno
2.400 miliardi di dollari l’anno, appunto. Cifra che Stiell prende dal 2° rapporto dell’Independent High Level Expert Group on Climate Finance pubblicato a inizio dicembre, la sintesi più aggiornata sullo stato della finanza climatica e dei passi da compiere in questo ambito per raggiungere gli obiettivi di Parigi. L’intervento di Stiell è significativo perché è proprio sull’ammontare della finanza per il clima che gli stati continuano ad avere divergenze. E senza un ordine di grandezza è complicato anche solo iniziare a negoziare.
Alla Cop28 di Dubai, il percorso negoziale sulla finanza climatica post 2025 ha prodotto pochi passi avanti significativi (mentre il grosso degli sforzi si è concentrato sull’altra gamba, il fondo per le perdite e i danni reso operativo proprio a Dubai). In particolare, sono mancati i numeri: quanto bisogna mettere sul piatto, chi deve contribuire e in che misura, chi è titolato a ricevere il denaro?
Anche perché i paesi con economie più avanzate hanno già faticato a raggiungere il target di 100 mld l’anno entro il 2020 (traguardo tagliato solo l’anno scorso, 3 anni in ritardo). Adesso si tratta di mobilitare un volume di investimenti 24 volte maggiore.
“Che si tratti di ridurre le emissioni o di rafforzare la resilienza climatica, è già evidente che la finanza è il fattore determinante nella lotta mondiale al clima – in termini di quantità, qualità e innovazione. In effetti, senza ulteriori finanziamenti, i successi climatici ottenuti nel 2023 svaniranno rapidamente e diventeranno promesse vuote”, ha sottolineato Stiell. “Abbiamo bisogno di torrenti – non di rivoli – di finanziamenti per il clima”.
Tre paletti per i negoziati sulla finanza climatica alla Cop29
E ha fissato qualche paletto per i negoziati. Primo: la finanza per il clima post 2025 non deve sottrarre risorse agli aiuti allo sviluppo. Una tentazione molto comune ai paesi più ricchi, che da anni provano a fare il gioco delle tre carte e a contare come finanza climatica anche investimenti che ben poco hanno a che fare con questo tema. Sfruttando il fatto che manca ancora una definizione chiara e univoca di cosa intendere per climate financing in sede Onu. Lo fa anche l’Italia: Roma ha conteggiato come finanza per il clima il supporto dato all’azienda di cioccolato Venchi per espandersi in diversi paesi asiatici, rivelava un’inchiesta di Reuters lo scorso giugno.
Secondo paletto: “devono essere compiuti progressi evidenti per affrontare la valutazione del rischio di investimento”, ma bisogna anche individuare “fonti innovative di finanziamento settoriale e meccanismi creativi per affrontare oneri debitori irragionevoli”. In poche parole, Stiell ricorda che per mobilitare la finanza climatica necessaria bisogna davvero riformare l’architettura della finanza globale, a partire dalle massime istituzioni come Banca Mondiale e banche dello sviluppo regionali. Altrimenti non si andrà lontano. “Il 2024 è l’anno in cui le banche multilaterali di sviluppo dovranno dimostrare, con azioni concrete, la loro centralità nella lotta mondiale al clima e la loro determinazione a ottenere un impatto su vasta scala”, ricorda l’inviato Onu per il clima.
E bisognerà fare tutto questo prestando attenzione a non creare nuove trappole del debito per i paesi che ricevono gli aiuti con lo schema della finanza per il clima post 2025. Ecco il terzo paletto. Queste stesse istituzioni finanziarie globali “dovrebbero compiere passi coraggiosi verso un’innovazione finanziaria che raddoppierà, se non triplicherà, la loro capacità finanziaria collettiva entro il 2030, in particolare per quanto riguarda le sovvenzioni e i finanziamenti agevolati”, cioè le forme di aiuti che meno incidono sul debito nazionale dei paesi che ricevono gli aiuti.