Un rapporto di Oxfam fa i conti in tasca ai paesi più sviluppati. Che non stanno rispettando le promesse di mobilitare 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2020
I fondi mobilitati dalla finanza climatica sono in gran parte sotto forma di prestiti, non di sovvenzioni
(Rinnovabili.it) – Bilanci fumosi di lettura non chiara. Prestiti conteggiati come sovvenzioni, quindi gonfiati. E progetti il cui valore ambientale è difficile da comprendere. E’ la realtà della finanza climatica nel 2020 secondo la fotografia scattata da Oxfam nel suo terzo “rapporto ombra”, pubblicato oggi. Che ha un orizzonte inquietante: proprio a causa di questi aiuti, i paesi più svantaggiati rischiano di riempirsi di debiti.
Oltre un decennio fa, i paesi sviluppati si sono impegnati a mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 per sostenere i paesi in via di sviluppo ad adattarsi e ridurre le loro emissioni. L’obiettivo è una parte fondamentale dell’accordo di Parigi. Ma questo volume di denaro non è stato movimentato a dovere. O non a sufficienza.
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Secondo i calcoli di Oxfam, i fondi dichiarati nell’ambito della finanza climatica sono aumentati da 44,5 miliardi di dollari all’anno nel 2015-16 a circa 59,5 miliardi di dollari all’anno nel 2017-18. Tuttavia, uno sguardo più attento rivela che i rapporti dei donatori continuano a sopravvalutare i volumi reali. E non di poco. Come? La maggior parte dei prestiti continua a essere conteggiata al suo valore nominale completo, come se fosse una sovvenzione. E i valori reali sono meno della metà. Appena 19-22,5 miliardi, stima Oxfam.
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Altro problema è in cosa si investe. Anche in questo caso, la finanza climatica non è andata davvero a beneficio di chi ha più bisogno. La logica seguita rispecchia più gli interessi dei paesi donatori che l’urgenza dettata dal clima. Nel 2017-18, solo il 20,5% dei finanziamenti bilaterali per il clima è andato ai paesi meno sviluppati (Least Developed Countries, LDC). E soltanto il 3% ai piccoli Stati insulari in via di sviluppo (Small Island Developing States, SIDS).
E anche in questi due casi, la quota maggiore di questi finanziamenti è stata sotto forma di prestiti e altri strumenti diversi dalle sovvenzioni. Prestiti che questi paesi dovranno ripagare, aggiungendo un peso ulteriore alla loro capacità economica già vessata dall’impatto dei cambiamenti climatici. Tutti ingredienti che possono sfornare una nuova “trappola del debito climatico”.