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Serve il PIL della Spagna per salvare la finanza climatica

Mentre le economie avanzate faticano a racimolare 100 miliardi di dollari l’anno, il gruppo di negoziatori africani sgancerà una richiesta-bomba sul tavolo della COP26: dal 2030 servono 1.300 miliardi ogni anno, una cifra che equivale al PIL di paesi come Spagna, Russia o Australia

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La proposta africana per la finanza climatica post-2025

(Rinnovabili.it) – Uno dei punti più caldi del vertice di Glasgow sarà la finanza climatica, cioè il denaro che le economie più avanzate mettono a disposizione dei paesi più vulnerabili e in via di sviluppo per interventi di mitigazione e adattamento. I primi stanno faticando a racimolare i 100 miliardi di dollari l’anno che avevano promesso nel lontano 2009. I secondi non sono disposti a sobbarcarsi il peso economico, sociale e politico di una crisi climatica generata in gran parte dal mondo industrializzato, responsabile della quota più grande delle emissioni cumulate da fine ‘700 a oggi. Su un dossier così difficile l’Africa ha deciso di sganciare una vera e propria bomba: per ora vanno bene 100 miliardi, ma dal 2030 devono diventare 1.300. Ogni anno.

Lo ha rivelato all’agenzia Reuters Zaheer Fakir, uno dei negoziatori di punta sulla finanza climatica per l’African Group of Negotiators on Climate Change. La cifra sarebbe stata fissata dai ministri dell’Ambiente del continente africano qualche mese fa e sarà la posizione ufficiale del blocco alla COP26 che si apre a Glasgow tra poco più di 20 giorni.

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Si tratta di una quantità di denaro enorme, pari all’intero PIL annuale di paesi come la Spagna, la Russia o l’Australia. Il che fa capire molto bene quanto sia grande la distanza tra le economie avanzate e il resto del mondo su questo tema. I primi, finora, hanno sfiorato appena la soglia di 80 miliardi di dollari l’anno. Con l’ultimo round di promesse si dovrebbe essere arrivati a quota 90 mld, ma nessuno sa bene dove recuperare i 10 miliardi che mancano.

L’Italia ha provato a fare la sua parte ma contribuisce ancora con molto meno del dovuto, se si guardano le emissioni storiche: il ministro Cingolani ha promesso di raddoppiare l’importo fino a 1 miliardo, ma i Belpaese dovrebbe metterne sul piatto almeno 4.

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Questa somma, 100 miliardi, dev’essere mobilitata ogni anno fino al 2025. Cosa succederà dopo è proprio quello di cui si parlerà a Glasgow. “Il punto che stiamo cercando di stressare è che abbiamo bisogno di una cifra finanziaria per il clima che sia ambiziosa, basata sulla scienza e basata sui bisogni”, ha aggiunto Fakri. La cifra di 1.300 miliardi sarebbe calibrata sulle necessità reali dei paesi in via di sviluppo.

Altro fattore importante sottolineato dal negoziatore è il bilanciamento: oggi i paesi donatori scelgono con ampia discrezionalità che progetti finanziare, di solito quelli meno onerosi o con il maggior ritorno politico e d’immagine. Ma queste priorità non sono quelle dettate dalla crisi climatica. Così manca qualsiasi equilibrio tra i finanziamenti per la mitigazione e quelli per l’adattamento ai cambiamenti climatici.

(lm)