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L’Italia bara sulla finanza climatica

Nel 2009 i paesi ricchi si sono impegnati a mobilitare almeno 100 mld $ l’anno in finanza climatica trovando risorse “nuove e addizionali”. Ma non esiste una definizione univoca per questi termini. Così la maggior parte delle risorse viene tolta ai fondi degli aiuti per lo sviluppo. L’Italia è verso il fondo della classifica

Finanza climatica: accordo lontano alla COP26 di Glasgow
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Il rapporto curato dal Climate Change and Resilience Information Center (CARE)

(Rinnovabili.it) – Solo il 7% delle risorse destinate dai paesi ricchi alla finanza climatica è genuina. Più di 9 euro su 10 seguono invece un percorso fatto di vasi comunicanti: vengono tolti dagli aiuti allo sviluppo, e poi presentati sotto un’etichetta più verde. Lo ha calcolato il Climate Change and Resilience Information Center (CARE) in un rapporto pubblicato di recente.

Calcolare la finanza climatica

L’opacità della finanza climatica mobilitata è finita più volte sotto i riflettori. Non esistono regole fisse che stabiliscano come bisogna conteggiare le risorse e quali possano essere definite finanza per il clima. L’impegno formale preso alla Cop15, nel 2009, prevedeva semplicemente che i paesi più ricchi avrebbero garantito risorse “incrementali, nuove e addizionali” a favore dei paesi più colpiti dalla crisi climatica, per supportare misure di mitigazione e adattamento. Ma non esistono parametri fissi per decidere in che senso il denaro dev’essere “nuovo e addizionale”.

Così ogni paese adotta un metodo suo. Scavando nei meandri di questa contabilità, CARE ha fatto emergere che il 93% delle risorse elargite tra 2011 e 2020 non sono quello che sembrano. “La maggior parte dei finanziamenti pubblici per il clima dichiarati dai paesi ricchi provengono direttamente dai bilanci degli aiuti allo sviluppo”, si legge nel rapporto. “Ciò significa meno sostegno alla salute, all’istruzione, ai diritti delle donne, alla riduzione della povertà e ai progressi verso il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile”.

Appena 20 mld $ in 10 anni

Per stabilire cos’è nuovo e addizionale e cosa no, gli autori del rapporto usano due definizioni distinte. Quella più forte conta come finanza climatica genuina tutto ciò che eccede l’impegno dei paesi ricchi di destinare lo 0,7% del reddito nazionale lordo agli aiuti allo sviluppo. Quella più debole conta solo le risorse che si aggiungono a quelle destinate alla finanza climatica già prima del 2009.

Nei 10 anni esaminati, ufficialmente il flusso di risorse per il clima dichiarato dai paesi ricchi arriva a 295 miliardi di dollari. Applicando la definizione debole, il totale scende a 141 mld $ (il 48%). Mentre usando la definizione più forte crolla ad appena 20 mld $, circa il 7% di quanto dichiarato.

Cosa fa l’Italia?

L’Italia esce malconcia dall’esame ravvicinato della sua finanza per il clima. Nonostante i numeri ufficiali permettano al Belpaese di posizionarsi all’8° posto tra i paesi donatori, in realtà Roma in 10 anni non ha mobilitato neppure un euro che superi il test della definizione forte. Mentre corrisponde alla definizione debole, cioè l’incremento rispetto ai livelli del 2009, il 93% dei fondi messi a disposizione, circa 5,8 mld sui 6,2 totali.