(Rinnovabili.it) – L’universo dell’IoT contemporaneo è caotico come il mondo dei pesi e delle misure prima che gli Stati riconoscessero il sistema metrico internazionale. Esistono miliardi di dispositivi intelligenti, ma troppo spesso non riescono a comunicare tra loro. Semplicemente perché non sono stati progettati per farlo. Quindi trasformare questo arcipelago di tecnologie in un mondo più compatto e ordinato è la priorità numero uno. Lo sostiene uno studio della Machina Research, azienda specializzata in analisi e previsioni per tutto quel che riguarda le nuove tecnologie.
La conclusione del report parla chiaro: se non si adottano le giuste contromisure, entro il 2025 andranno sprecati 341 miliardi di dollari. La contromisura suggerita è l’adozione di standard internazionali.
“Il mondo è oggi caratterizzato da tecnologie e piattaforme in competizione, quadro ulteriormente complicato dalle numerose organizzazioni per lo sviluppo degli standard – sottolinea Jim Nolan, vice presidente di IoT Solutions ed esperto osservatore del mondo dell’Internet delle Cose – Non possiamo sperare di realizzare le ambizioni delle smart city fino a quando i portatori di interessi non si accorderanno su una serie di standard comuni”.
Come è stato conteggiato questo spreco? Secondo Machina Research, se si continuano a usare dispositivi IoT non standardizzati, il costo di sviluppo e implementazione delle smart city a livello globale supererà i 1000 miliardi di dollari nel 2025. Al contrario, se lo sviluppo procedesse con la stessa velocità ma sfruttando standard condivisi, il costo scenderebbe a 780 miliardi.
La differenza – 340 miliardi, appunto – diventa in quest’ottica uno spreco netto.
Altri vantaggi di una maggior integrazione tra dispositivi intelligenti: il loro numero potrebbe crescere del 27% nelle smart city e funzionare da volano per un ulteriore sviluppo.
“La nostra ricerca dimostra che standard aperti e condivisi servirebbero sia per migliorare l’efficienza degli investimenti, sia per accelerare la penetrazione dell’IoT nelle nostre città”, conclude l’autore del report Jeremy Green.