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Il futuro delle metropoli: Il modello “della città del quarto d’ora”

città del quarto d'ora
Foto di Pexels da Pixabay

di Carlo Hausmann – Agro Camera, Valentina Terribile

L’epidemia da Covid-19 ha messo in discussione il nostro stile di vita, i nostri consumi e infine, ma non in ultimo, il ruolo delle città e metropoli con tutto ciò che ad esse si collega in termini di stili di vita e modelli di spostamento. A Roma, come in molte altre metropoli europee, siamo abituati a dover mettere in conto spostamenti più o meno lunghi per svolgere la maggior parte delle attività quotidiane; dal recarsi a lavoro, al fare la spesa, ma anche raggiungere la palestra o il ristorante per una cena tra amici. 

Tutto questo fino a qualche mese fa era la normalità, ma con l’arrivo della pandemia i 30 minuti di metropolitana per raggiungere l’ufficio o i 20 minuti di autobus per arrivare al ristorante o in palestra sono diventati possibili occasioni di contagio e assembramenti, quindi situazioni da evitare. La pandemia da Covid-19 ha radicalmente modificato la vita e le consuetudini dei residenti delle città di gran parte del mondo. Ma se cambiano le abitudini, anche l’organizzazione della città dovrebbe cambiare.

Ed è così che si è sviluppato un intenso dibattito intorno ad un nuovo modo di concepire e organizzare le città, gli spazi e lo stile di vita dei cittadini che le abitano, facendo tornare alla ribalta il concetto, o meglio il progetto, della “città del quarto d’ora”. Si tratta di una delle tante iniziative mirate a migliorare la qualità della vita in città. Il progetto fu presentato dall’attuale sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, e in un certo senso ricalca iniziative come quella dei 20 minute neighborhoods a Portland (Stati Uniti), o dei superblocks di Barcellona. Così la Ville du quart d’heure nata come iniziativa teorizzata per una città come Parigi, è stata sostenuta da un docente dell’Università della Sorbona – Carlos Moreno – il quale ha affermato che “Viviamo in città frammentate, dove spesso lavoriamo lontano da dove viviamo, dove non conosciamo i nostri vicini, dove siamo soli, dove soffriamo”. 

La visione racchiusa all’interno della città del quarto d’ora è la seguente: una metropoli fatta di quartieri in cui tutto è a portata di mano, o meglio, dove tutto il necessario (inteso come attività per imparare, lavorare, condividere, fare la spesa, prendere aria, acculturarsi e impegnarsi, farsi curare, circolare, fare sport, mangiare bene) è ad un massimo di 15 minuti da casa, che sia a piedi o in bicicletta. Se inizialmente questo progetto di città “smart venne presentato per rispondere soprattutto alla necessità di creare centri urbani più sostenibili, più “green”, incentivando un tipo di mobilità che non inquina, attualmente è un’idea che si sposa perfettamente con le esigenze dei nostri tempi. Se da un lato permette di avviare quella trasformazione ecologica della città, tanto auspicata e teorizzata, migliorando la vita quotidiana degli abitanti – dall’altro permette di ridurre le occasioni di contatto ed assembramento da evitare in tempo di pandemia. 

Il progetto non intende stendere reticolati e trasformare interi quartieri, non sarebbe concepibile e realizzabile. Quello che vuole fare, piuttosto, è ripensare gli spazi comuni di un settore della città, riqualificando strade, piazze e incroci secondo lo spirito della “Ville du quart d’heure”, così da poter cambiare in meglio la qualità della vita. Intere zone della città potrebbero trasformarsi ed essere riscoperte come spazi finora sottoutilizzati ma idonei all’insediamento di nuovi servizi collettivi che siano a beneficio di tutti.

Quindi, una rivoluzione urbana, una smart city, basata su un’innovazione tecnologica che deve senz’altro riguardare la modernizzazione di una serie di sistemi e strutture. A partire dal lavoro da remoto – peraltro ampiamente adottato in tutte le città durante la pandemia – o ad iniziative come gli uffici in coworking di quartiere. Tutto questo dovrebbe diventare la normalità, o almeno essere più frequente. Altro aspetto molto importante nell’ideale della città del quarto d’ora è la possibilità di acquistare alimenti di qualità senza il bisogno di dover percorrere lunghe distanze per raggiungere l’alimentari o qualsiasi altro negozio. In realtà il commercio di prossimità è una realtà già radicata nel tessuto urbano di molte città, Roma in primis, va solo consolidata. Anzi, tutta la penisola può essere identificata come una rete di centri medi, ad alta qualità di vita e a misura d’uomo, percorribili a piedi o in bici, in cui sono instaurate relazioni di prossimità e scambio. Il ragionamento alla base della città del quarto d’ora va letto in relazione alla contrapposizione tra centri urbani medi e metropoli quali Roma, Milano o Napoli, luoghi sicuramente più affollati. 

Una nuova visione ecologica e sociale delle città che potrebbe fornire nuovi stimoli alla vita sociale dei quartieri, favorendo la coesione fra le persone che li abitano.Riporta la città alla sua dimensione più umana, fatta di quartieri in cui siano presenti tutti quei servizi indispensabili a rendere la vita del cittadino confortevole e di qualità. Sicuramente si tratta di un progetto ambizioso, che va letto come un’opportunità cruciale per un modello di città più sostenibile ma anche come esperienza di protezione collettiva nei momenti di crisi.

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