Rinnovabili

Seasteading, il sogno di abitare l’oceano

In un futuro imprecisato lo scioglimento dei ghiacci polari ha provocato la completa sommersione delle terre emerse, determinando la fine della civiltà e gli esseri umani sopravvissuti sono costretti a vivere su atolli, grandi isole galleggianti costituite da rottami e detriti ripescati dall’oceano.

Lo scenario apocalittico è quello disegnato dal film fantascientifico Waterworld che nel 1995 ha raccontato l’adattamento forzato dell’uomo ad un’esistenza acquatica, ormai dimentica della terra ferma.

 

Ma al di là della catastrofica visione a cui ci ha abituato da tempo il grande schermo e la letteratura sci-fi in genere, c’è chi in un futuro di vita marina ci crede fermamente al punto di aver dato vita ad un nuovo concetto di comunità alternativa: il Seasteading.
“Oltre l’orizzonte è nascosto il segreto per un nuovo inizio”, recitava lo slogan promozionale della pellicola hollywoodiana, il cui eco ancora si può sentire nell’idea alla base del Seasteading, neologismo derivato dalla fusione dei termini inglesi “sea” (mare) e“homesteading” (reclamare una proprietà per viverci in maniera autosufficiente). La visione – per molti utopistica e difficilmente realizzabile – si impernia sul concetto di creare in mare abitazioni permanenti e politicamente indipendenti, sulla base del principio giuridico internazionale secondo cui, al di fuori della Zona Economica Esclusiva (in genere oltre le 200 miglia nautiche dalla costa di un paese), le acque internazionali o “l’alto mare” non sono soggetti a leggi di Stato, ad eccezione delle navi che devono rispondere alla nazione di cui battono bandiera.

 

 

DALLE PAGINE DI UN LIBRO ALLA REALTA’

Al di là della formalizzazione del termine, impiegato per la prima volta da Ken Neumeyer nel libro Sailing on the Farm del 1981, il Seasteading ha raccolto nel tempo numerosi proseliti più o meno consapevoli.

Dal mito della città di Atlantide ai “visionari” romanzi “Meraviglie del Duemila”di Emilio Salgari e “Una città galleggiante” di Jules Verne, dagli spunti cinematografici di Waterworld fino all’ambientazione del più recente videogame BioShock, l’idea ha dimostrato di essersi ben radicata nell’immaginazione umana ma, nonostante le serie interminabile di proposte – il più solo sulla carta -, nessuno ad oggi è ancora riuscito a far riconoscere come nazione sovrana il proprio seasted.


Nei primi anni ’70 il milionario americano Michael Oliver acquistò in Australia delle chiatte cariche di sabbia e le portò sull’atollo di Minerva, a sud delle isole Figi, per portare il livello del suolo al di sopra del pelo dell’acqua, proclamando la Repubblica di Minerva e richiedendo il riconoscimento ufficiale ai paesi vicini. L’isola-nazione ebbe vita breve; il governo di Tonga decise di reclamare Minerva, appropriandosene con l’intervento dell’esercito. La sorte non fu più benevola con l’Insulo de la Rozoj o Isola delle Rose, una piattaforma artificiale (400 m²) nel mare Adriatico posta 500 metri al di fuori delle acque territoriali italiane; proclamata Stato sovrano nel 1968 dal suo fondatore, l’ingegnere bolognese Giorgio Rosa, si dotò di una propria forma di autorità politica, adottò l’esperanto come lingua ufficiale ed emise addirittura due serie di francobolli. L’esperienza tuttavia durò solo poche settimane prima di essere affondata e successivamente smantellata dal governo Italiano. Ad oggi il seasted più vicino al riconoscimento è forse il Principato di Sealand, una controversa micro-nazione fondata nel 1967, quando Roy Bates, un operatore radio pirata, si è trasferito in una chiatta anti-aerei abbandonata della seconda guerra mondiale denominata Rough Tower. La struttura è situata a circa a circa 10 km al largo della costa inglese del Suffolk. Famosa al mondo informatico per aver offerto asilo a Napster nel 2000, Sealand in realtà ebbe una storia non facile, fatta di micro rivoluzioni e rivendicazioni del Principato e ad oggi non è ancora stata riconosciuta come Stato indipendente da nessuna nazione del mondo.

 

IL SEASTEADING INSTITUTE

Il fatto che nessuno sia pienamente riuscito nell’impresa non scoraggia di certo Patri FriedmanWayne Gramlich, due nomi famosi della Silicon Valley. L’ingegnere di Google nonché nipote del premio Nobel in economia Milton Friedman e l’ex programmatore di Sun Microsystem, hanno fondato nel 2008 il Seasteading Institute con l’obiettivo di sostenere e facilitare la creazione di comunità autonome ed autosufficienti in acque internazionali, testando diversi contesti sociali, politici e giuridici. Spiegano nel libro scritto a quattro mani: “Inizialmente abbiamo scelto il mare come miglior luogo per sperimentare nuovi sistemi sociali, perché è l’unica area non reclamata rimasta sulla terra: lo spazio è ancora troppo costoso. Dopo aver considerato la questione, però, siamo giunti alla conclusione inaspettata che le caratteristiche uniche dell’oceano porteranno ad una rivoluzione nella qualità del governo”. Il carattere modulare ed estremamente flessibile di questa nuova visione della società permetterebbe, secondo i fondatori dell’Istituto, di poter contare su ridotte barriere economiche all’entrata, bassi costi d’attivazione e un sistema industriale migliore. Il Seasteading dovrebbe aprire una nuova frontiera dello spirito imprenditoriale “fai-da-te” in cui piccoli gruppi possono formare colonie indipendenti senza aver bisogno di avere tutto in una volta ma semplicemente aggiungendo nuove strutture quando risorse e persone diventano disponibili. Tuttavia, come dichiarato in più di un’occasione l’organizzazione non vuole concentrarsi tanto sulla sperimentazione di differenti forme di politica, quanto sull’alto grado d’innovazione raggiungibile nelle strutture marine e sugli elevati margini di profitto che l’oceano può offrire.

“C’è una storia ricca di personaggi che cercano di realizzare questo tipo di cose folli e l’idea è di farlo in un modo che non sia folle”, ha detto Joe Lonsdale, presidente dell’istituto ed uno dei direttori al Clarium Capital Managment, un fondo multimiliardario di credito.

 

 

VERSO LA REALIZZAZIONE DI TECHTOPIA

A breve termine, spiegano Friedman e Gramlich, il modo più pratico per lanciare le prime seastead è quello di adattare una nave da crociera ad abitazione semi-permanente, dal momento che già oggi sono in grado di rispondere a molte delle sfide poste alla seasteads (maltempo, pirateria, dispute internazionali, capacità d’alloggio). A lungo termine invece, le piattaforme risponderebbero meglio delle navi. L’Istituto Seasteading ha commissionato all’azienda Marine Innovation & Technology la progettazione di un Clubstead, un prototipo basato sul design delle cosiddette “spar platform” (le strutture petrolifere normalmente utilizzate in acque molto profonde): un tubo in cemento armato con alimentatori esterni sul fondo che potrebbe essere riempito di aria o acqua per alzare o abbassare la piattaforma superiore sulla quale sarebbero realizzati edifici e giardini; oltre 34mila metri quadrati per 200 ospiti e alloggi per il personale in grado di ospitare fino a 70 persone.

Per rendere energicamente autosufficiente il seastead, servirà necessariamente un mix di tecnologie che sappiano sfruttare i vantaggi dell’efficienza energetica e le fonti di energia alternativa circostanti. Via libera dunque a moduli fotovoltaici e pannelli solari termici da integrare a turbine eoliche e impianti per lo sfruttamento dell’energia delle onde. Alla grande massa di cemento propria della maggior parte dei progetti il compito di fungere da isolante e dissipatore di calore, moderando le temperature, mentre l’acqua marina verrebbe sfruttata sia per raffreddare l’aria mediante sistemi di pompaggio, che per la produzione di acqua potabile tramite dissalazione per osmosi inversa. L’Istituto stima un consumo medio di energia a persona su un seastead di 0,5-2 MWh l’anno.
L’idea che si è già trascinata diverse critiche, soprattutto per i risvolti troppo libertari – niente tasse, assistenza sociale, salari minimi o regolamentazioni sull’edilizia così come minori restrizioni sul commercio delle armi – ha dalla sua il pieno appoggio di uno dei grandi “nasi” della finanza. Peter Thiel, fondatore di PayPal, miliardario e tra i primi finanziatori di Facebook, dopo aver già investito nel Seasteading Institute una somma di 500mila dollari nel 2008, avrebbe in questi giorni sborsato un milione e 250 mila dollari a favore del gruppo per poter vedere concretizzato il progetto. La nuova comunità, ribattezzata Techtopia, dovrebbe essere realizzata entro il 2014, circa 320 chilometri a largo della costa di San Francisco, in acque internazionali per ospitare le prime 150 persone.

Exit mobile version